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100 anni fa: la Rivoluzione d'ottobre in Russia - Foto

Dopo un decennio di disgregazione politica e la fine degli Zar, Lenin e i bolscevichi conquistano il potere formando il primo governo comunista del mondo

Il 7 novembre 1917 (il 25 ottobre secondo il calendario giuliano) i bolscevichi capeggiati da Lenin e Trotskij portavano a compimento a Pietrogrado (poi Leningrado e oggi San Pietroburgo) l'insurrezione armata organizzata dal Soviet, instaurando il primo governo rivoluzionario. Il primo passo di uno sconvolgimento politico che influenzerà la storia mondiale per oltre 70 anni, fino alla dissoluzione dell'Urss

LA RUSSIA DELLE ANIME MORTE (DI FAME)

La miseria, la fame e la guerra. Queste le tre piaghe che affliggevano da decenni la Russia zarista, e che furono alla base degli eventi storici che portarono alla rivoluzione di ottobre del 1917.

Il paese si trovava nel mezzo di un disastro militare, impegnato dal 1914 nella lotta contro gli Imperi Centrali, per l'arretratezza strategica e tecnologica del suo esercito che vide impegnati più di 10 milioni di soldati ed il sacrificio inutile di oltre 1 milione e mezzo di vite umane. La Russia inoltre era giunta al conflitto mondiale dopo essere stata impegnata nella guerra Russo-turca del 1877-78 e soprattutto nel conflitto con il Giappone del 1905, rivelatosi disastroso ed alla base del primo evento rivoluzionario di quell'anno, represso nel sangue dall'esercito.

LA FINE DEI ROMANOV

La dinastia dei Romanov si trovava sempre di più in una posizione di dorato isolamento dal resto del paese, uno dei più arretrati al mondo in termini di giustizia sociale, pressata sia dai socialisti rivoluzionari organizzatisi all'inizio del XX secolo che dalla spinta della nuova borghesia industriale.

Nel febbraio del 1917 la tensione politica era arrivata all'apice anche per la politica repressiva dello Zar Nicola II che aveva progressivamente abolito l'organo di rappresentanza della Duma, ottenuto con i moti del 1905. La risposta rivoluzionaria non si fece attendere ed i moti per il pane di San Pietroburgo si trasformarono in un'azione rivoluzionaria nazionale che coinvolse per la prima volta operai e soldati, organizzati nei Soviet, i comitati rivoluzionari. La rivolta portò poco dopo all'abdicazione di Nicola II in favore del figlio Michele, il quale rifiutò la carica.

I GOVERNI PROVVISORI

Il potere fu assunto da un governo provvisorio nominato dalla Duma e presieduto dal principe Georgy L'vov, che di fatto era controllato dal Soviet di San Pietroburgo e dagli intellettuali radicali eletti nelle file dei socialrivoluzionari. Sotto il nuovo governo, la Russia andava rapidamente disgregandosi sia da un punto di vista politico che militare, con la crescita esponenziale degli ammutinamenti e la diffusione rapida delle lotte agrarie per la distribuzione della terra ai contadini. In questo periodo Vladimir Ilic Lenin, leader dei bolscevichi esiliato in Svizzera, faceva ritorno in patria con il benestare dei Tedeschi, che speravano di accelerare il processo di disgregazione della Russia per condurla ad una pace separata. Il primo tentativo rivoluzionario di Lenin (le giornate di luglio) fu represso in quanto il leader bolscevico fu accusato di tradimento per i suoi rapporti con il nemico tedesco. Rifugiatosi in Finlandia, Lenin visse il passaggio del potere politico al socialrivoluzionario Alexandr Kerenskij, il quale fu a capo di un dicastero lacerato dalle divisioni politiche e dal rapido disfacimento dell'ordine sociale. Impegnato al fronte in un'ultima inutile offensiva contro gli Imperi centrali, Kerenskij si trovò alla vigilia della rivoluzione di ottobre debole ed impreparato.

LA CRESCITA DEI BOLSCEVICHI E LA RIVOLUZIONE

Mentre la propaganda bolscevica prendeva nuovamente piede dopo la sconfitta di luglio sia nelle fabbriche che nelle campagne, Lenin ritenne maturi i tempi per cancellare ogni tipo di compromesso riformista ed attuare le misure rivoluzionarie per instaurare la dittatura del proletariato.

Ad accelerare i fatti contribuì anche il fallito golpe controrivoluzionario del generale Kornilov, scongiurato dall'azione risoluta del Soviet di San Pietroburgo, mentre Lenin raggiungeva la maggioranza con la vittoria definitiva sulle posizioni mensceviche e decideva definitivamente l'inizio della lotta armata a fianco del presidente del Soviet di San Pietroburgo Lev Trotskij.

Il 7 novembre 1917 avrebbe dovuto tenersi il congresso panrusso dei Soviet, per discutere sul destino del governo Kerenskij dove ancora erano presenti elementi borghesi. Preso il controllo dell'ala armata del Soviet (il comitato militare rivoluzionario) Lenin e Trotskij guidarono le Guardie Rosse nella presa dei punti strategici della capitale, mentre Kerenskij lasciava la sede del governo. L'ultimo baluardo di resistenza alla rivoluzione fu l'ex residenza degli zar, il Palazzo d'Inverno, fu preso quasi senza spargimento di sangue. Nasceva così il primo governo rivoluzionario presieduto da Lenin, che come prima azione decise l'intenzione di un'uscita rapida della Russia dalla guerra. Le conseguenze della presa del potere dei rivoluzionari nella capitale e nelle altre grandi città fece da volano alla rivolta nelle campagne, che determinò di fatto la fine di secoli di dominio del latifondo  per circa l'80% della popolazione dello sterminato territorio nazionale.

FINE DELLA GUERRA (MA NON DELLA FAME)

Tutt'altro che semplice fu il cammino della Russia dopo la rivoluzione di ottobre: l'instabilità politica continuò e si accentuò all'interno delle correnti del governo rivoluzionario, che portò Lenin al primo giro di vite autoritario dopo che alle prime elezioni della Costituente i bolscevichi furono superati dai socialrivoluzionari. L'assemblea durò un solo giorno: i bolscevichi la sciolsero mettendo a breve fuori legge tutti gli altri partiti ed abolendo la libertà di stampa. Pochi mesi dopo il partito di Lenin cambierà nome in Partito Comunista Russo, per distinguersi dalle altre formazioni socialdemocratiche europee, e sarà affiancato dalla feroce azione della polizia politica nota come Cheka.

Altrettanto gravi furono i problemi che Lenin dovette affrontare con la questione della pace separata con la Germania, avversata dagli alleati francesi, inglesi ed italiani per le conseguenze drammatiche che l'uscita dell'alleato russo avrebbe avuto sul fronte occidentale. Nonostante le pressioni interne che cercarono di dissuadere Lenin a cedere alle richieste tedesche, il 3 marzo 1918 fu firmata la pace di Brest-Litovsk, che condannava la Russia rivoluzionaria a pesantissime riparazioni sia economiche che in termini territoriali, in quanto la Russia avrebbe perso 1/3 del territorio nazionale, il 25% delle riserve di grano e il 78% delle riserve di carbone.

FINE DELLA SPINTA DEMOCRATICA 

Il governo di Lenin, sull'orlo della crisi già pochi mesi dopo il suo insediamento, decise di agire con la forza. Nelle fabbriche si accelerò il programma di centralizzazione e nazionalizzazione, esautorando i vecchi Consigli rivoluzionari a favore di un controllo diretto da parte del governo.

Nelle campagne, dove la situazione era già drammatica per la carestia generata dagli effetti della guerra, il governo rivoluzionario chiamò "comunismo di guerra" l'azione capillare di esproprio manu militari degli accumuli agrari delle campagne appena redistribuite. Quello della repressione contadina fu il più grande paradosso della rivoluzione, e chiuse per sempre la porta a quello che era stato il più grande esperimento di "rivolta sociale dal basso" e ad ogni barlume di democrazia aggiungendo per il popolo russo già stremato da decenni di prostrazione, fame alla fame.

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Soldati, marinai e civili riuniti al palazzo Tauride di Pietrogrado il 7 novembre 1917

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Edoardo Frittoli