Dopo il Dottor House, il deserto
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Dopo il Dottor House, il deserto

Questa sera l'ultima puntata, senza valide alternative all'orizzonte

Dopo otto, gloriose stagioni si chiude questa sera una delle serie TV più importanti degli ultimi anni. Mettiamo da parte le polemiche perché si sa già come va a finire ed evitiamo di anticipare dettagli ai pochi fortunati che ne sono ancora all'oscuro, qui ci interessa un'altra cosa: a suo tempo Dr. House - Medical Division colmò un vuoto che oggi nessuno è in grado di riempire. E dire che aveva di fronte un'autentica corazzata.

Quando nel 2004 Gregory House comincia la sua avventura, il mondo dei medical drama è dominato da E.R. – Medici in prima linea, serie splendidamente scritta, girata e prodotta, capace nel corso di 15 stagioni (1994-2009) di monopolizzare il genere ospedaliero e di entrare nella leggenda, e non soltanto per aver lanciato la stella di George Clooney.

Ai medical drama degli anni Duemila non resta che tentare di diversificarsi, pena la morte all'ombra di un avversario formidabile.
Nascono cosi serie come Nip/Tuck e Royal Pains, che spostano l'attenzione fuori dagli ospedali, ma anche Scrubs (che ibrida il medical drama con la commedia) e soprattutto Grey's Anatomy, che scardina il modello E.R.: le vicende dei pazienti e le storie private dei medici non procedono più appaiate, perché il fulcro del racconto diventa la vita sentimentale dei protagonisti. Il letto importante non è più quello in corsia, insomma.

La vera rivoluzione arriva però grazie a David Shore, che sostanzialmente fa tutto il contrario di E.R.. Il suo dottor House non è un eroe idealista, come ad esempio il dottor Green, e non vince grazie al lavoro di gruppo: è un misantropo arrogante ed egoista, che può tranquillamente fare a meno dei colleghi, per quanto abili siano.

Di più: salvo rarissime eccezioni, la serie non ci prova nemmeno a creare simpatia umana tra pazienti e spettatori. Anzi, House potendo ridicolizza i malati, e sono spassose le sue incursioni all'interno dell'ambulatorio ospedaliero. Questo perché, dice il protagonista: "Io non curo i malati. Curo le malattie". Qui sta l'intuizione centrale di David Shore: come ha ammesso in più occasioni, ha trasferito Sherlock Holmes dalla Londra Vittoriana, agli Stati Uniti del terzo millennio.
E infatti, ecco le conseguenze narrative:

1 – l'investigazione è il motore degli episodi
2 – le patologie non sono mai ovvie: sono sempre enigmi
3 – l'indagine procede seguendo la più ferrea logica deduttiva
4 – si parte dal presupposto che il paziente menta
5 – lo si interroga manco fosse un sospetto criminale

Infine, Gregory House ha un amico alter ego che fa le veci di Watson (l'oncologo Wilson), è costantemente sotto l'effetto di antidolorifici (Holmes faceva uso di morfina) e c'è persino una puntata nella quale un suo ex paziente gli spara. Il nome: Moriarty, come l'arcinemico di Holmes.

Tutto questo fa del Dr. House un'autorevole alternativa a E.R., proprio mentre quest'ultimo comincia a mostrare la corda e mentre l'universo dei medical drama si guarda intorno cercando novità. Tempo qualche anno e la nuova serie avrebbe spazzato via il record di C.S.I. diventando lo show televisivo più visto al mondo (l'anno è il 2008, i milioni di spettatori sono 81,8).

E oggi? Dr. House - Medical Division saluta gli spettatori ed è giusto così, perché bisogna smettere prima che i segnali di stanchezza diventino troppo evidenti.
Però sia guardando verso l'orizzonte sia spulciando nel presente c'è poco da essere allegri: non c'è traccia di una serie capace di rivoluzionare il genere, o quanto meno di dargli nuovo slancio. Anche per questo Gregory House ci mancherà.

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Aldo Fresia

Scrivo di cinema e videogame. Curo e conduco la trasmissione radiofonica Ricciotto.

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