Nba: Bonner racconta gli Spurs sempre più "italiani"
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Nba: Bonner racconta gli Spurs sempre più "italiani"

L’ala di San Antonio, a Napoli per l’Nba 3X Tour, parla a tutto campo del mondo dei campioni Nba, inclusi Marco Belinelli ed Ettore Messina

Dal 2006 dietro la linea dei tre punti dell'AT&T Centre di San Antonio, pronto a trasformare in oro gli scarichi dei big three degli Spurs, c’è il tiratore rosso di capelli che ora — al centro della Rotonda Diaz di Napoli — alza il Larry O’Brien Trophy, trofeo riservato ai vincitori dell’anello Nba .

A 10 anni dalla sua ultima esperienza italiana a Messina Matt Bonner, ala dei San Antonio Spurs, torna in Italia per la tappa partenopea dell’Nba 3X Tour. Lo fa come ambasciatore del basket d’oltreoceano, per raccontare ai giornalisti e tifosi nostrani della crescita di Marco Belinelli e dell’arrivo a San Antonio del nuovo vice allenatore Ettore Messina, ma anche per provare a spiegare i segreti della squadra perfetta, che nelle scorse finali Nba è stata capace di sbaragliare in 5 partite i Miami Heat di Lebron James. Il talento individuale del Prescelto nulla ha potuto contro quella che negli Usa è attualmente considerata la migliore "squadra" dello sport americano.

Matt, ci puoi svelare – una volta per tutte – qual è il segreto degli Spurs?

“Nessun segreto, solo la fortuna di avere grandi giocatori e grandi persone nello stesso team per un lungo periodo di tempo…”.

Cosa vuoi dire?

“Può sembrare banale, ma nello sport professionistico è molto difficile costruire una squadra che possa durare a lungo. Di solito i giocatori non riescono, per motivi di regolamento e monte salariale, a stare insieme per più di due o tre anni. A San Antonio invece c’è un nucleo di giocatori che giocano insieme da più di dieci”.

Di chi è il merito?

“Dell’organizzazione degli Spurs, che è sempre stata capace di rinnovare i contratti dei giocatori importanti. E poi dei giocatori stessi che hanno spesso rinunciato a ingaggi elevati per costruire una team che potesse durare e vincere per diverso tempo”.

E poi?

“E poi bisogna lavorare duramente, tutti i giorni, e mettere sempre il bene della squadra al primo posto. E’ da questa combinazione, di lavoro e sacrificio, che nasce il nostro gioco, fatto di extra pass e di altruismo. In questo senso le ultime finali Nba sono state il coronamento di molti anni di lavoro”.

E questo è merito di coach Popovich...

“La scintilla nasce da lui, ma poi sono i giocatori che devono essere disponibili e farsi contagiare”.

Qual è il tuo rapporto con il coach?

“Gli devo tutto. E’ grazie ai suoi insegnamenti che sono diventato il giocatore che sono oggi. Per me è un allenatore ma anche un amico”.

E’ davvero così duro come si vede durante i time out?

“Duro non è la parola esatta, e non piacerebbe nemmeno al coach (ride, nda). Popovich è testardo. Sa come si vince e soprattutto è capace di trasmetterlo ai suoi giocatori. Per farlo a volte deve essere un po’ rude, ma fuori dal campo è una persona molto più gentile ed educata di quanto vi possiate immaginare”.

Te lo aspettavi un Belinelli già decisivo fin dal primo anno a San Antonio?

“Conoscevamo il giocatore e avevamo notato la sua crescita negli ultimi anni. La fortuna di Marco è che non è solo un tiratore ma anche un ottimo passatore che sa giocare con e per la squadra. Queste sono qualità fondamentali per giocare nel sistema di coach Popovich”.

Hai già conosciuto Ettore Messina, prossimo vice allenatore degli Spurs?

“Abbiamo scambiato un paio di battute. Ho un grande rispetto per lui e penso che quest'anno avrà un ruolo fondamentale per far crescere ulteriormente la nostra squadra”.

Secondo te, quali saranno i compiti dell'allenatore italiano?

“Messina avrà il compito di studiare gli avversari, cosa importantissima nell’Nba, e di far eseguire i giochi alla squadra. Inoltre, conoscendo coach Pop, penso che sarà coinvolto in molte decisioni importanti”. 

Cosa ne pensi del ritorno di Lebron a Cleveland?

“Credo che tornando a esibirsi davanti alla sua gente Lebron giocherà con una carica incredibile. Per questo sarà ancora più difficile batterlo. D'altra parte non è scontato riuscire a vincere il titolo alla prima stagione con una nuova squadra. James e i suoi nuovi compagni avranno bisogno di tempo per trovare la chimica giusta e riuscire a sfruttare tutto il loro potenziale”.

Quindi siete ancora voi i favoriti?

“Alla nostra età non possiamo essere favoriti (ride, ndr). Per vincere un titolo la strada è davvero lunga. Ci sono di mezzo infortuni e ogni genere di incognita. Per ora pensiamo alla Western Conference e a Oklahoma, che per caratteristiche è l’avversario più difficile per noi. Poi staremo a vedere”.

@teosemoli

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Teobaldo Semoli