Jason Collins fa coming out: "Gioco in Nba e sono gay"
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Jason Collins fa coming out: "Gioco in Nba e sono gay"

Il centro dei Washington Wizards è il primo atleta nella storia dell'Nba dichiarare la propria omosessualità con una lettera affidata a Sports Illustrated

Jason Collins, centro nei Washington Wizards con un passato anche nei New Jersey Nets, nei Boston Celtics e negli Atlanta Hawks ha fatto coming out dichiarando la propria omosessualità in una lettera pubblicata da Sports Illustrated. Il cestista afroamericano nato a Northridge diventa così il primo giocatore professionista statunitense in attività a fare coming out. Un primato che non riguarda solo Nba ma anche i maggiori campionati americani di baseball, football americano e hockey. Ecco la lettera integrale pubblicata settimanale sportivo edito da Time Warner.

"Sono un centro dell’NBA di 34 anni. Sono nero. E sono gay.

Non intendevo essere il primo atleta dichiaratamente gay di un torneo americano professionistico a squadre. Dal momento che lo sono, sono felice di parlarne. Non volevo essere il bambino che alza la mano in classe dicendo: “Sono diverso”. Se fosse per me, qualcuno altro avrebbe già potuto farlo. Nessuno l’ha fatto, ed è per questo che sto alzando la mano. Il mio viaggio alla scoperta di me stesso è iniziato nella mia città natale, Los Angeles, ed è continuato per due campionati della high school, per i quarti di finale e la semifinale del campionato NCAA e per nove volte ai play-off in dodici stagioni NBA.

Ho giocato per sei squadre professioniste e partecipato a due finali NBA. Avete mai sentito parlare di un gioco di società chiamato Tre Gradi di Separazione di Jason Collins? Se hai giocato nel torneo e non sono mai stato uno dei tuoi compagni di squadra, sono stato di sicuro un compagno dei tuoi compagni di squadra. O uno dei compagni dei tuoi compagni di squadra.

Ora sono un giocatore libero da vincoli, letteralmente e figurativamente. Ho raggiunto quello stato invidiabile della vita in cui posso fare più o meno quello che voglio. E ciò che voglio è continuare a giocare a basket. Amo ancora questo gioco e ho ancora qualcosa da offrire. I miei allenatori e i miei compagni di squadra lo sanno. Allo stesso tempo, voglio essere vero, autentico e sincero.

Perché lo sto rivelando ora? Beh, ho iniziato a pensarci nel 2011 durante lo sciopero dei giocatori dell’NBA. Io sono una creatura della routine. Quando finisce il campionato mi dedico alla preparazione e agli allenamenti, per essere pronto per la gara inaugurale della stagione successiva. Ma lo sciopero ha stravolto le mie abitudini e mi ha costretto a confrontarmi con chi sono veramente e cosa voglio veramente. Con il ritardo dell’inizio della stagione, ho continuato ad allenarmi. Ma mi mancava la distrazione del gioco.

La prima persona a cui ho rivelato questa cosa è stata mia zia Teri, che fa il giudice della Corte Suprema a San Francisco. La sua reazione mi ha sorpreso. “Sapevo che eri gay da anni”, ha detto. Da quel momento mi sono sentito bene nella mia pelle. Davanti a lei per la prima volta ho ignorato il “bottone della censura”. Lei mi ha dato sostegno. Il sollievo che ho provato era dolce. Immaginate di essere in un forno, in fase di cottura. Alcuni di noi conoscono e accettano la propria sessualità immediatamente, altri hanno bisogno di più tempo per cucinarla. Io lo so bene – l’ho tenuta nel forno per 33 anni.

Quando ero più giovane uscivo con le donne. Sono anche stato fidanzato. Pensavo di dover vivere in un certo modo. Pensavo di avere bisogno di sposare una donna e crescere dei bambini con lei. Continuavo a ripetermi che il cielo fosse rosso, ma ho sempre saputo che era blu. Ho realizzato di aver bisogno di dirlo pubblicamente quando Joe Kennedy, il mio vecchio compagno di stanza a Stanford, oggi deputato in Massachusetts, mi aveva appena detto di aver sfilato al Gay Pride di Boston del 2012. Raramente sono invidioso degli altri, ma ascoltare quello che Joe aveva fatto mi ha fatto sentire pieno di invidia. Ero orgoglioso di lui, per la sua partecipazione, ma arrabbiato perché in quanto omosessuale non avrei potuto incoraggiare il mio caro amico come spettatore. Se mi fossero state fatte delle domande, avrei architettato dell mezze verità. Che peccato dover mentire mentre si celebra l’orgoglio. Voglio fare la cosa giusta e non nascondermi più. Voglio marciare per la tolleranza, l’accettazione e la comprensione. Voglio prendere una posizione e dire: “Anche io”.

Il recente attentato alla maratona di Boston ha rafforzato l’idea che non avrei dovuto aspettare le circostanze perfette per dirlo. Le cose possono cambiare in un istante, quindi perché non vivere veramente? Quando qualche settimana fa ho detto a Joe di essere gay, lui è stato grato per essermi fidato di lui. Mi ha chiesto di unirmi a lui nel 2013. Marceremo insieme l’8 giugno.

Nessuno vuole vivere nella paura. Ho sempre avuto paura di dire la cosa sbagliata. Non dormo bene. Non l’ho mai fatto. Ma ogni volta che lo dico a un’altra persona, mi sento più forte e dormo un po’ più profondamente. Ci vuole moltissima energia per custodire un così grande segreto. Ho sopportato anni di miseria e ho passato lunghi periodi a vivere in una bugia. Ero certo che il mio mondo sarebbe caduto a pezzi se qualcuno l’avesse saputo. Eppure quando ho riconosciuto la mia sessualità mi sono sentito “completo” per la prima volta. Avevo ancora lo stesso senso dell’umorismo, le stesse stravaganze: i miei amici sono rimasti dalla mia parte.

Che ci crediate o no, è stata la mia famiglia a subire lo shock più grande. Nel 1978 i miei genitori si aspettavano solo un bambino. Io. Quando sono nato (per la prima volta), i dottori si congratularono con mia madre per il suo bambino sano, di quasi 2,6 chilogrammi. “Aspettate!”, disse un’infermiera. “Ne sta uscendo un altro!”. L’altro, che arrivò 8 minuti dopo e che pesava quasi un etto di più di me, era Jarron. Jarron mi ha seguito sempre da allora, a Stanford e all’NBA, e io, come fratello un po’ più grande, mi sono sempre preso cura di lui."

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Matteo Politanò