Manchester United, Ipo e bilanci non convincono

Lo scorso agosto, in occasione del debutto in Borsa del Manchester United, diversi analisti e addetti ai lavori avevano già sottolineato le incognite economiche di lungo periodo dell’operazione. Oggi si scopre che buona parte di quei dubbi erano condivisi anche …Leggi tutto

Lo scorso agosto, in occasione del debutto in Borsa del Manchester United, diversi analisti e addetti ai lavori avevano già sottolineato le incognite economiche di lungo periodo dell’operazione. Oggi si scopre che buona parte di quei dubbi erano condivisi anche dalla Sec (Security & Exchange Commission), il severissimo organo di vigilanza statunitense sulle società quotate.

La protesta dei tifosi dello United contro i proprietari (credits: Afp/Getty Images)

La protesta dei tifosi dello United contro i proprietari (credits: Afp/Getty Images)

La Sec, con una nota pubblicata sul suo sito alla fine di settembre ma scovata solo ieri dalla giornalista di Bloomberg News Linda Sandler, ha reso noto un polemico scambio di lettere con la famiglia Glazer, azionista di maggioranza del club. In sintesi l’autorità chiedeva chiarimenti sullo stato patrimoniale e sul potenziale futuro della squadra ma anche sulla sostenibilità del suo livello di indebitamento e sulle modalità troppo generose del collocamento, che ha finito per arricchire i Glazer senza far perdere loro il controllo quasi assoluto sulla società.

Per la quotazione, la famiglia Glazer aveva infatti inizialmente stabilito una forchetta iniziale di prezzo compresa tra i 16 e i 20 dollari per ogni titolo. Ciò vuol dire che in caso di stime sui massimi, l’Ipo avrebbe fruttato 334 milioni all’attuale azionista di maggioranza, con una conseguente valutazione della società pari a 3,34 miliardi. I listini, però, sono un altro campo da gioco. Dove gol e dribbling contano assai meno delle fredde cifre. E le fredde cifre fecero ipotizzare alla Sec (ma anche a numerosi analisti) che il premio di collocamento fosse eccessivo per la famiglia Glazer, che pagò il team 1,5 miliardi nel 2005 ma da allora ha fatto quasi raddoppiare il suo indebitamento netto, all’epoca pari a quasi 700 milioni di sterline.

Si scopre oggi che furono proprio i rilievi della Sec a spingere, alla vigilia dell’Ipo, gli advisor finanziari dei Red Devils (JP Morgan, Jefferies e Crédite Suisse Usa) a stabilire un nuovo prezzo di collocamento pari a 14 dollari, ben due al di sotto del minimo stabilito. Specificando che la metà dei capitali raccolti non sarebbe finita nelle tasche di chi vende, ma utilizzata per abbattere il debito.

Le cose sono andate effettivamente così, ma la situazione finanziaria del club non è migliorata: la prima trimestrale post-quotazione, comunicata il 18 settembre, evidenziava una perdita operativa pari a 14,9 milioni di sterline, con ricavi in calo del 25% a quota 74,5 milioni. Gli analisti, anche sulla scorta dell’ottimistico prospetto di quotazione, avevano stimato invece ricavi stabili a 100 milioni ed esercizio in pareggio.

Adesso i tifosi e gli azionisti, che hanno già visto ridursi del 12,4% il loro investimento iniziale, restano con il fiato sospeso in vista dei conti di fine anno. Per il corrente esercizio (che terminerà il 30 giugno 2013) il management di Old Trafford ha ipotizzato un margine operativo lordo di di 107-110 milioni di sterline e ricavi complessivi compresi tra 350 e 360 milioni di sterline. Ma le previsioni sono state fatte supponendo che il Manchester United raggiungerà in questa stagione sia i quarti di finale della Champions’ League che della Coppa d’Inghilterra, fattore al momento niente affatto scontato. Per questo la maggior parte degli analisti assegna al titolo quotato a Wall Street valutazioni di «sell», vendere, o «underweight», ridurre l’esposizione, con prezzi obiettivo in media di tre centesimi più bassi rispetto agli attuali corsi di Borsa.

L’unica consolazione, per così dire, è che sull’altra sponda cittadina le cose non vanno meglio: il Manchester City è a un passo dall’eliminazione in Champions’ League che, visti i corposi investimenti effettuati in sede di calciomercato negli ultimi tre anni, potrebbe trasformarsi in un bagno di sangue economico, con lo sceicco proprietario Al Mansour costretto a rimettere mano al portafoglio per compensare i mancati ricavi da premi, sponsorizzazioni e diritti tv.

 

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