ENDURO - Su e giù per i colli astigiani
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ENDURO - Su e giù per i colli astigiani

Prima uscita stagionale con le gomme tassellate. Obiettivo: divertirsi, fare fiato, migliorare la sensibilità in sella, stare a contatto con la natura

La moto è per sempre. Indipendentemente dalle stagioni. E se generalizzando un po' (ma neppure troppo), chi d'estate preferisce girare in strada d'inverno predilige l'enduro, gli amanti dei cordoli si orientano invece perlopiù sul cross. Voglia di libertà e di scoperta nel primo caso, gesto atletico, velocità, adrenalina, tempi sul giro, nell'altro. L'aritmetica è quasi sempre questa.

Noi però, abbiamo sparigliato un po' i componenti dell'equazione e, dopo aver messo in letargo la CBR pistaiola, invece di pensare al cross ci siamo messi alla ricerca di una nuova compagna di giochi con cui scorrazzare - sempre nei limiti della legalità, ovviamente - per i boschi.

Il tutto ha avuto inizio verso la metà di ottobre quando, nella ricerca del nostro mezzo ideale per cominciare a fare seriamente del fuoristrada, tra un annuncio e l'altro siamo finiti dalle parti di Asti e lì siamo incappati nella persona giusta, Pasquale Cianci.

La sua officina-laboratorio-concessionaria è uno dei centri nevralgici per gli enduristi dell'Italia nord-occidentale. Proprio di recente, questo polo di attrazione ha trovato il suo culmine nella (assai partecipata) Cavalcata Alfieri, che quest'anno si è svolta nel mese di settembre proprio tra i colli che sovrastano il quartier generale del preparatore.

Quello che sembrava il passo principale del nostro percorso di avvicinamento alle ruote tassellate, cioè la ricerca del mezzo, si è rivelato del tutto secondario. L'abbiamo comprata sì, una HM CRE250X, ma prima ancora di una moto abbiamo trovato qualcosa di ancora più prezioso, un gruppo di veri amanti dell'enduro. O meglio, la parola più giusta a definirli è una squadra. Perché sì, perché chi pensa che l'enduro sia uno sport individuale sbaglia. E non di poco.

Ce n'eravamo resi conto già lo scorso anno all'isola d'Elba nel nostro battesimo in sella a una motocicletta di questo tipo: mai avventurarsi da soli, prima di tutto perché così il divertimento si dimezza, e poi per una questione di sicurezza. E' il primo precetto inviolabile. Così come, la regola vuole che il gruppo resti sempre compatto e che chi si trova in difficoltà possa contare sempre sull'aiuto dei compagni.

Fatto sta che qualche settimana dopo, la nostra voglia di tornare a cavalcare un mezzo a motore trova il giusto sfogo. Nel primissimo mattino arriviamo a San Damiano d'Asti, dove il gruppo (pardon, la squadra) si dà appuntamento. La nostra moto ci aspetta lustra e fresca di pistone, valvole e trasmissione finale appena sostituiti.

Quello della preparazione è un altro momento molto importante, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione dei traumi da caduta.

Come del resto già facciamo nelle attività in pista con la supersportiva, in questo frangente non abbiamo voluto lasciare nulla di intentato: si è puntato quindi ai livelli più alti di protettività disponibili sul mercato. L'enduro - e la cosa vale per tutti, indipendentemente dalla capacità dall'esperienza e dalla familiarità con il mezzo del pilota - si sa che è una lotta costante tra l'equilibrio e le insidie del terreno, e necessita pertanto dell'abbigliamento adeguato, soprattutto per quello che riguarda le protezioni delle parti più esposte. Casco, occhiali, corpetto integrato con paraschiena, paratorace, paraspalle e gomitiere, devono essere di buona qualità e della corretta misura. Così come le ginocchiere e gli stivali tecnici.

Presentazioni fatte, foto di rito, un ultimo controllo all'allacciatura del casco, clic al pulsante rec della action cam e si parte.

Dopo non più di 10' di trasferimento su asfalto siamo già con i tasselli nella terra, in un tratto molto scorrevole che percorreremo ad andatura sostenuta. Il terreno e perlopiù asciutto, salvo che in alcuni punti in ombra dove si annida uno dei grandi spauracchi del nofita, il binario di fango. Sarà proprio su uno di questi che si consumerà il primo stop non desiderato della giornata. Stiamo in scia al gruppo con un'andatura sostenuta - almeno per noi - quando, scopriamo sulla nostra stessa pelle che nel passaggio su un'area infangata è buona norma (anzi, è d'obbligo) evitare di chiudere il gas.

La stessa scena si ripeterà poco più avanti: altro pantano, altra ritrosia a violentare l'istinto e tenere il gas aperto e l'anteriore che nuovamente si chiude facendoci capitolare a terra. Nell'enduro si cade, ma perseverare... Facciamo tesoro di quanto è accaduto e ritorniamo in marcia.

Da lì a poco, ci aspetterà quello che, nella sosta precedente, è stato descritto all'unanimità dai nostri compagni di viaggio come uno dei punti più impegnativi dell'intero percorso, un salitone molto ripido che - ci spiega Cianci - "va affrontato senza esitazioni né tentennamenti. Un filo di gas, costante, e vedrai che la moto si arrampicherà da sola senza alcun problema". Detto, fatto. Percorso netto. Mission completed.

Non così bene andrà verso la metà dell'itinerario quando, in un tratto sabbioso costellato da solchi anche molto profondi, ci infiliamo in binario, acceleriamo meno di quanto sia necessario e la moto si spegne. Anche qui la salita è piuttosto ripida e per evitare che la moto scivoli a ritroso fino alla base dell'ascesa la appoggiamo sul fianco. E noi con lei. Il problema, ora, è alzarla e ripartire su un terreno ostico e dalla pendenza importante.

La solidarietà del gruppo torna a far valere la sua forza, questa volta per mano di Luca che si incarica di posizionare la nostra moto in un punto ideale per risalire in sella e ripartire, e ci svela il "trucchetto" per tornare correttamente in carreggiata.

Ci ricongiungiamo dunque a tutti gli altri, e da questo momento in avanti conosceremo un vero e proprio nirvana off road, con un continuo alternarsi di sterratoni scorrevoli non troppo piatti, non troppo ripidi, passaggi nel bosco veloci, lenti, su terreni di ogni tipo, e anche qualche mulattiera, ma nessuna mai troppo impegnativa. Insomma, proprio l'ideale per il neofita che sono. Variegato anche il ventaglio dei terreni su cui aggrappano i tasselli della nostra Honda: terra, argilla, sabbia, fango, ghiaioni.

L'andatura non esasperata ci permette anche di guardarci intorno ed emozionarci per la grande varietà cromatica delle foglie che ci circondano per tutto il giro. E' vero, ci perdiamo il piaceri dei rumori del sottobosco, ma vogliamo essere sinceri, per noi il motore è uno strumento e quel che esce dallo scarico è musica.

Nei tre quarti d'ora di questa straordinaria galoppata, emerge anche qualcosa che non ci coinvince in pieno. La posizione in sella innanzitutto, che per quanto sia ottima da seduti evidenzia qualche limite nella guida in piedi. Il problema lo individuiamo nel manubrio troppo basso. In tempo per la prossima uscita, risolveremo montando una coppia di riser (i supporti di fissaggio alla piastra di sterzo) più alti e un manubrio con una diversa piega.

Altro frangente su cui intervenire è la rapportatura, un po' troppo lunga rispetto all'erogazione della nostra Honda. Anche qui è prevista una modifca che riguarderà l'aggiunta di qualche dente alla corona, in modo da guadagnare un po' più di spunto e di brio in accelerazione e ripresa ai bassi regimi.

Dopo oltre quattro ore di scorribande, l'esperienza sta per giungere a conclusione. Quando siamo partiti immaginavamo che limitare il tutto alla sola prima metà della giornata sarebbe stato riduttivo. E invece... Senza esperienza e soprattutto senza allenamento, non avremmo avuto in corpo la benzina necessaria a tornare in sella anche dopo la pausa pranzo.

Eccoci quindi all'epilogo. Si ritorna a casa. Purtroppo abbiamo dovuto declinare l'invito del gruppo che si godrà la prossima uscita tra gli scenari elbani. Ci si rivedrà quindi in quella successiva, nuovamente tra questi colli.

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Luciano Lombardi