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Milan: il perché del no di Maldini ai cinesi

Sino Europe irritata per le condizioni su ruolo e competenze poste dall'ex capitano a Fassone. Uno strappo (forse) inevitabile?

A meno di passi indietro clamorosi, dall'una e dall'altra parte, il matrimonio non si consumerà. Nessun rientro di Paolo Maldini nel Milan. Non sarà lui la bandiera chiamata a sventolare per garantire i tifosi sulla solidità del nuovo corso e non prenderà la guida della parte tecnica, come gli aveva proposto a nome della nascente proprietà cinese Marco Fassone, l'uomo che sta costruendo il Milan del futuro.

Uno strappo forse inevitabile e che si è consumato nello spazio di poche ore, dopo che per settimane i due (Fassone e Maldini) si sono incontrati e parlati in segreto per cercare di cucire la tela. Posizioni troppo distanti, richieste reciproche difficili da accettare per due persone che nell'avventura rossonera di stanno (starebbero nel caso dell'ex capitano) giocando una fetta importante della carriera manageriale.

Le condizioni di Maldini interpretate come un no dai cinesi

A rompere il silenzio, concordato dalle parti, non è stato in realtà Paolo Maldini. Le voci sugli incontri stavano ormai circolando e si rischiava di mancare di chiarezza in una vicenda in cui i tifosi cercano prima di tutto punti fermi cui aggrapparsi. La risposta di Maldini nell'intervista alla Gazzetta dello Sportcon la spiegazione delle sue perplessità nell'accettare l'offerta, sono stati interpretati dai cinesi di Sino Europe come uno strappo condito anche da qualche gaffe, come l'appunto su Han Li unico interlocutore in grado di parlare inglese.

Il nodo, però, era più profondo e difficile da sciogliere. Maldini chiedeva e chiede un ruolo più ampio come mandato, libertà d'azione e compenso. Qualcosa che intecettava alcune delle deleghe in mano allo stesso Fassone che del nuovo Milan, fino a prova contraria, è capo azienda designato in assenza di una piena operatività di chi lo sta acquistando. Poteva accettare il prossimo amministratore delegato e direttore generale (cariche che manterrà unite) un Maldini alla Galliani? No. E i cinesi non potevano che sposare la linea intrapresa nei mesi scorsi.

Maldini inesperto e un ruolo che non attira

Che Maldini sia stato un grandissimo campione è sotto gli occhi di tutti. Che rappresenti la storia del Milan anche, ma che possa rapidamente essere spendibile anche come dirigente di primo livello è tutto da dimostrare. Fassone gli offriva di entrare nell'area tecnica insieme a lui e al nuovo direttore sportivo Mirabelli, di prendere in mano la programmazione delle strategie sportive del club fino alle giovanili e di cominciare ad occuparsi dei rapporti con Uefa ed Eca, il tassello venuto a mancare con la partenza di Umberto Gandini, nuovo ad della Roma.

Maldini aveva in testa il campo e poter lasciare la sua impronta nella costruzione del nuovo ciclo pur non avendo competenze strette sul mercato, dove non basta avere l'occhio giusto per poter lavorare, e dovendo costruirsi un percorso professionale sin qui inesistente. La parte politica dell'incarico, comunque sottoposta alle linee guida dettate dal capo azienda, probabilmente non ha soddisfatto le attese di un ex grande campione.

Fassone, la caccia alla bandiera e l'errore sulla tempistica

C'è un passaggio, però, in cui Maldini esprime un disagio condivisibile ed è quello legato alla tempistica del suo coinvolgimento nel progetto. Se, come è stato, il ruolo pensato per lui era di responsabilità, chiamarlo alla fine e con il resto dell'area tecnica costruito da Fassone è stato un errore. Sarebbe stato più logico coinvolgerlo subito, integrarlo nella progettazione dell'organigramma di quella parte del club, chiedergli un parere su alcune figure fondamentali a partire dal ds Mirabelli. Così, invece, Maldini è stato messo nelle condizioni di dover accettare un pacchetto già chiuso.

In fondo è la stessa perplessità che hanno avuto anche altri nomi di importanti ex rossoneri accostati a quel ruolo negli ultimi due mesi. Ufficialmente il Milan cinese non poteva prescindere dal contributo di uno di loro, nella realtà le chiamate di Fassone si sono fatte attendere fino a far sorgere il sospetto che si trattasse di una strategia comunicativa ad uso dei tifosi. Probabilmente non è così, ma di sicuro non ha reso facile il compito. Il no di Costacurta è maturato in questo contesto. Albertini non si è mai tirato fuori, ma non è nemmeno mai stato contattato da Fassone, malgrado i segnali diversi apparsi sui giornali.


E adesso? L'imbarazzo della seconda scelta

Se il rapporto con Paolo Maldini non si potrà ricucire, ora per Fassone si apre la seconda fase della ricerca dell'uomo giusto da mettere al posto giusto. L'ex capitano rappresentava la prima scelta, in un certo senso il profilo unico e ideale. In caso di rifiuto cosa accade? Difficilmente i cinesi chiameranno qualcun altro per la stessa posizione che non ha convinto Maldini. Un po' perché significherebbe attaccare l'etichetta della "seconda scelta" a chiunque, molto perché ritengono che il mandato fosse ampio e 'ad personam'.

Dunque è probabile che la questione sia congelata, almeno per qualche tempo. O che venga contattato qualcuno per offrire un ruolo differente da quello pensato per l'ex capitano, meno centrale e impegnativo. Così non si darebbe l'idea di replicare in tono minore la strada percorsa inutilmente con Paolo. Basterà? 

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Giovanni Capuano