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Galli: "Questo Napoli è da scudetto. Milan, domenica sarà durissima"

E' stato portiere di entrambe le squadre negli anni in cui la sfida decideva lo scudetto. Sui mister: "Sarri? E' più avanti di Mihajlovic"

Il Milan degli olandesi volanti contro il Napoli di Maradona re del Vesuvio. Ovvero, la battaglia definitiva per lo scudetto della fine degli anni Ottanta. Dai loro incroci veniva scritto il campionato. Chi vinceva, prendeva la rincorsa per salire sul tetto della Penisola. Chi perdeva, sognava di restituire la cortesia nel confronto successivo. Milan e Napoli, due corazzate con un carico grande così di apprendisti stregoni. Giovanni Galli ha navigato con entrambe, custode con i gradi di ufficiale del magazzino di meraviglie. E' a lui che panorama.it chiede di riavvolgere il nastro della memoria per presentare la gara in programma domenica sera al Meazza.

Protagonista nel Milan di Capello e Sacchi e prima firma nel Napoli di Bigon e Ranieri. Cosa ricorda delle sfide di quegli anni?
"Ogni partita era di fatto un remake della sfida scudetto del primo maggio del 1988, quando noi del Milan battemmo il Napoli al San Paolo per 3 a 2. Da quel momento, ogni gara era una rivincita aperta a ogni risultato. Era un calcio decisamente diverso da quello di oggi. Allora eravamo venti uomini che lavorano per la propria azienda. Adesso sono venti aziende che lavorano per una multinazionale. Direi che il cambiamento c'è stato, eccome. Quasi un altro mondo".

Quali le differenze tra i due spogliatoi? Chi erano i giocatori che più di altri si facevano sentire nei momenti importanti?
"C'erano chi parlava e chi dava l'esempio senza aver bisogno di dire nulla. Franco Baresi diceva tre parole all'anno, ma ogni volta che lo vedevi in campo, fosse un semplice allenamento oppure una partita, ti dava una fortissima sensazione di serietà e rigore. Ti spiegava con l'esempio cosa significasse essere un giocatore del Milan. Gullit? Aveva una grande personalità e sapevi che potevi contare su di lui in qualsiasi momento. Certo, non era un professionista a 360 gradi come Baresi, ma c'era sempre per tutti e questo non era una cosa da poco.

Al Napoli era molto diverso. C'era uno spogliatoio eccezionale. Ci frequentavamo spesso anche nel privato, per le feste dei bambini o per una semplice cena in settimana. C'era sempre una ragione per stare tutti insieme. La serenità venne rotta a marzo dal risultato delle analisi dell'antidoping su Maradona. Fu trovato positivo alla cocaina, smise di giocare e la squadra subì un contraccolpo non indifferente. Maradona era un ragazzo d'oro. Non aveva la leadership del trascinatore, ma era un generoso e si faceva benvolere da tutti. Per la squadra, si sarebbe buttato nel fuoco. Reagiva male quanto veniva pungolato negli affetti. E' stato un grande, un grandissimo".

Era il Milan dei fenomeni, è il Milan della ricostruzione. Come vede la squadra di Mihajlovic?
"Forse il Milan ha perso un paio d'anni. La ricostruzione poteva già iniziare l'anno scorso con Pippo Inzaghi. E in parte è andata così, ma poi sono cominciati i problemi. Perché se chiedi il terzo posto a una squadra nuova, be', corri il rischio che le attese abbiano la meglio sullo spogliatoio. Ci fosse stata più pazienza, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. E mi auguro che lo stesso discorso non si debba fare a fine stagione per il gruppo di Mihajlovic. Alla vigilia del campionato ho sentito dire anche quest'anno 'dobbiamo arrivare in Champions'. D'accordo, sono stati fatti investimenti importanti e posso capire che la voglia di tornare in Europa dalla porta principale sia tanta, ma le squadre, quelle vere, non si costruiscono in un anno".

E il Napoli di Sarri? Crede che l'ex tecnico dell'Empoli sia la persona giusta per riportare la squadra partenopea ai vertici del campionato?
"Sono felice per lui. E' l'allenatore che avevo scelto nel dicembre 2007 nella mia breve esperienza da dirigente all'Hellas Verona. Lo portai con me perché ero convinto fosse la persona giusta per costruire un gruppo che nel tempo avrebbe potuto fare bene. Venne allontanato a mia insaputa nel febbraio dell'anno successivo e fu la ragione delle mie dimissioni. La coerenza, prima di tutto. E' un grandissimo professionista e conosce il calcio come le sue tasche. Sono sicuro che a Napoli possa fare la differenza. Certo, sempre che gli diano il tempo per applicare fino in fondo le sue idee. Qualche crepa si era già intravista, ma nell'ultimo mese i giocatori hanno dimostrato di essere dalla sua parte. Hanno capito che l'attenzione tattica che chiede il tecnico porta risultati importanti".

Diego Lopez e Pepe Reina, portieri contro. Chi la convince di più?
"Reina, senza alcun dubbio. E' un portiere moderno, lo stimo dai tempi in cui giocava nel Liverpool. Ha avuto soltanto una grande sfortuna: trovarsi un fuoriclasse come Casillas in nazionale. Altrimenti, sarebbe stato lui il portiere titolare nella Spagna che ha vinto tutto in Europa e nel mondo. Basta vedere come si muove in campo, ci si rende subito conto della fiducia che trasmette a tutta la squadra. A mio parere, ci sono due tipi di portiere. Quello che aggredisce la partita e quello che la subisce. Ecco, Reina rientra nella prima categoria. Al contrario di Lopez, che è comunque molto efficace e ha dimostrato in più di un'occasione di avere una grande personalità. Se così non fosse, non sarebbe riuscito a sopravvivere ai fischi del Bernabeu. Ha giocato titolare con Mourinho e Ancelotti. Che sia bravo, non ci sono dubbi. Ma se devo sceglierne uno tra i due, dico Reina".

Come finirà domenica sera? Quali saranno le variabili che potrebbero incidere sul risultato della partita?
"A Varsavia il Napoli ha messo da parte la prima vittoria in trasferta della stagione e credo che questo aumenti in modo considerevole l'autostima della squadra, che oggi mi pare un gruppo più compatto rispetto al Milan. Ho la sensazione che Sarri sia più avanti nel lavoro. Sì, il Napoli ha qualcosa in più e non solo del Milan. Dirò di più, sono convinto che abbia i numeri per vincere lo scudetto. Signori, il Napoli è arrivato. Come finirà domenica? Sono per lo spettacolo, dico 2-2".

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ANSA/ARCHIVIO
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Dario Pelizzari