Dal 5 maggio 2002 al 6 maggio 2012: tutto è cambiato, nulla è cambiato

Io il 5 maggio 2002 ero a Udine, a vedere la Juve vincere il suo 27esimo scudetto. Ero lì insieme a tre amici, juventini come me, se non di più. Di quelli che quando ci si vede si parla solo …Leggi tutto

I tifosi della Juventus festeggiano lo scudetto sul campo di Trieste (Ansa)

I tifosi della Juventus festeggiano lo scudetto sul campo di Trieste (Ansa)

Bar Sport: la terza stellaIo il 5 maggio 2002 ero a Udine, a vedere la Juve vincere il suo 27esimo scudetto. Ero lì insieme a tre amici, juventini come me, se non di più. Di quelli che quando ci si vede si parla solo di Juve, delle macchinate per andare allo stadio, dei panini alla porchetta dopo la partita, delle lacrime di gioia e di dolore da asciugare con le sciarpe bianconere. Sempre le stesse.

Di quel 5 maggio ricordo tutto. Ricordo naturalmente che la Juve vinse 2 a 0 contro l’Udinese, gol di Trezeguet e Del Piero, mentre l’Inter faceva harakiri a Roma, perdendo 4 a 2 contro la Lazio. Ricordo del mio orecchio destro attaccato alla radiolina e di essere stato il primo ad aver dato la notizia a tutta la curva del gol di Poborsky. Ricordo dell’emozione di uno scudetto meraviglioso perché inatteso, dei caroselli dopo la partita, degli sfottò all’Inter di Moratti e Ronaldo.

Dieci anni e un giorno dopo, il 6 maggio 2012, non ero a Trieste a celebrare il 30esimo scudetto della storia bianconera. Così come nessuno dei miei tre fidati compagni di curva. Gli anni passano e i doveri della vita ti obbligano ad assumere un atteggiamento più sedentario (ma non per questo meno coinvolto) rispetto al concetto di tifo. Così ora c’è chi ha dei bambini piccoli e non si può permettere il lusso di andare allo stadio, chi è emigrato in America, chi lavora anche il sabato e la domenica. Nessuno di noi, però, si è perso in televisione l’ultimo sigillo dei ragazzi di Conte di questa stagione irripetibile. E’ finita 2 a 0, mentre sull’altro campo scudetto – quello di San Siro – il Milan cadeva 4 a 2 contro l’Inter.

Guarda te il caso, alle volte. Stesso giorno (o quasi), stessi risultati, e alla fine Juve ancora campione. Titolo numero 30. Vien quasi da pensare che in questi dieci anni in fondo nulla sia cambiato. E invece…

E invece nel mezzo c’è stato di tutto. C’è stata la tristissima finale di Manchester, i due scudetti della gestione Capello, ma soprattutto c’è stata Calciopoli e tutto ciò che ne è seguito. Umiliati e offesi abbiamo provato ad andare sopra tutto e sopra tutti. Abbiamo digerito i processi sommari, i titoli scandalistici dei giornali, gli scherni di chi nemmeno conosce la differenza fra l’articolo 6 e l’articolo 1 della giustizia sportiva, e poi le farneticazioni di Cobolli Gigli, le passeggiate di Tiago, i passaggi in orizzontale di Poulsen. Per un attimo abbiamo pensato che mai nella nostra vita avremmo potuto rivivere emozioni come quelle del 5 maggio.

Poi, come in una bellissima primavera calcisitica, è arrivato Andrea Agnelli, e Antonio Conte dopo di lui. E abbiamo capito: che dai semi della vecchia Juve potevano rinascere i germogli di un nuovo ciclo a tinte bianconere. Lo abbiamo capito allora e ancora meglio strada facendo, anche quando qualcuno ci ricordava che c’erano squadre con l’organico più forte (io le sto ancora cercando), anche quando Conte continuava (giustamente) a smorzare gli entusiasmi ricordandoci da dove eravamo venuti (i due ormai celebri settimi posti). Insomma noi a questo scudetto ci abbiamo creduto, fin dalla prima giornata. Siamo così noi juventini, sappiamo fare la differenza.

Così, credo che fra altri dieci anni ricorderò ancora con perfetta lucidità tutti i momenti e le emozioni che ho vissuto domenica sera: il gol di Vucinic, le parole di Buffon che dedica lo scudetto a Camoranesi, Nedved e Trezeguet, gli occhi brillanti di Del Piero che sembrano quelli di un ragazzino che vince il primo torneo alle giovanili, la gioia dei tifosi bianconeri scesi in strada e tutti i messaggi che ho ricevuto dagli amici juventini. Ce n’era anche uno che diceva: “Finalmente si torna alla normalità”. Ecco, la normalità, quanto è bella a volte la normalità.

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Laterza Stella

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