Corea del nord: rischio escalation in tutta l'Asia
ANSA/YONHAP   EDITORIAL USE ONLY
Lifestyle

Corea del nord: rischio escalation in tutta l'Asia

Pyongyang provoca ma gli Usa non tollereranno ulteriori operazioni minacciose lungo il 38esimo parallelo. L'incognita nucleare

diLuciano Tirinnanziper Lookout News

Scenari apocalittici giungono dalla penisola coreana, dove le esercitazioni congiunte Stati uniti-Corea del Sud hanno provocato l’ira incontrollata del leader nordcoreano Kim Jong Un. “Trasformare in un batter d'occhio i regimi marionetta degli Stati Uniti e della Corea del Sud in un mare di fuoco” è l’anatema affidato alle pagine del quotidiano ufficiale del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori della Corea del Nord, in risposta alle esercitazioni che fanno “casualmente” seguito alle pesantissime sanzioni inflitte la scorsa settimana dalle Nazioni Unite a Pyongyang, dopo l’ennesimo provocatorio test nucleare. Si profila dunque un periodo di crescenti tensioni nell’area.

Ma qual è oggi il rischio concreto dell’escalation militare asiatica? La Corea del Nord dispone di circa un milione di soldati schierati al fronte e già attivi in tutta la zona demilitarizzata (DMZ), che non dista più di cinquanta chilometri dalla capitale della Corea del Sud, Seoul. È la famosa linea tracciata negli anni Cinquanta all’altezza del 38esimo parallelo che tagliò in due il Paese, facendone una delle zone più militarizzate al mondo. Il confine corrisponde più precisamente al piccolo villaggio sud-coreano di Panmunjom, il luogo nel quale venne posta la firma dell'armistizio che mise fine alla Guerra Coreana del 1950-53 e che rappresenta la “Joint Security Area”, l’area dove hanno luogo gli incontri diplomatici tra le due Coree e le Nazioni Unite. Qua, sono di stanza anche 34.000 soldati americani, a protezione del Sud.

In caso di attacco militare da parte del Nord, potrebbero essere i tunnel che passano sotto il 38esimo parallelo (e che arrivano molto in profondità) ad assicurare a Pyongyang il successo del “first strike”, ovvero l’arrivo alla periferia di Seoul, come già accaduto. In questo caso, le forze americane sarebbero in seria difficoltà circa un intervento rapido perché, nonostante la presenza nell’area, l’impegno in Afghanistan assorbe ancora buona parte della sua capacità offensiva. Una strada alternativa per i nordcoreani è il teatro marino: la ripresa del confronto nel Mar della Cina con la marina sudcoreana e con quella americana avrebbe quale conseguenza una campagna aggressiva per logorare i nervi della controparte. Nel lungo termine, comunque, Pyongyang non ha alcuna speranza di vincere.

La minaccia nucleare
A costituire uno scenario imprevedibile è invece la minaccia di un attacco nucleare. Per anni, gli esperti statunitensi hanno monitorato gli accadimenti a nord del 38esimo parallelo, in ragione della crescente attività militare segreta del regime di Pyongyang. Raggiunta l’effettiva capacità nucleare, le attenzioni degli americani si sono progressivamente concentrate sui lanci in orbita dei missili nordcoreani e sull’applicazione possibile della tecnologia (principalmente, di provenienza russa). Il problema che si pongono gli americani è, ovviamente, la distanza che i missili nordcoreani potrebbero coprire. Facile affermare che un attacco improvviso avrebbe come principale obiettivo Seoul. Ma ciò significherebbe implicitamente attaccare gli Stati Uniti. Dunque, potrebbe Pyongyang aver previsto anche un attacco missilistico in direzione Stati Uniti? Questo è il punto.

Come dimostrato dal successo del lancio in orbita di un satellite il 12 dicembre 2012, la Corea del Nord dispone certamente di un missile balistico intercontinentale (ICBM) in grado di minacciare direttamente gli USA (ben oltre le isole Hawaii). Tale capacità d’impatto era stata prevista già nel 2008 e dimostrerebbe che la Corea del Nord è ormai in grado di miniaturizzare testate nucleari da montare sui missili, sufficientemente accurati per rappresentare una seria minaccia nucleare per gli Stati Uniti. Le cui basi antimissilistiche in Alaska e California avrebbero comunque sufficiente capacità di deterrenza.

L’attacco EMP
Ciò che il Pentagono teme di più è, invece, un attacco “EMP”: ossia un attacco da impulso elettromagnetico. Si tratta di un’arma che, per raggiungere il suo scopo, non necessita di grande precisione e che potrebbe detonare ovunque nei cieli americani, anche ad alta quota (fino a 30 kilometri di altezza). Ciò significa che anche un solo aereo nordcoreano sfuggito ai radar sarebbe in grado di costituire una seria minaccia. L’esplosione di una simile testata, specie se nucleare, è capace di generare un impulso simile a una tempesta solare, in grado di annientare in un attimo tutte le difese elettroniche con evidenti conseguenze per le infrastrutture critiche di un Paese altamente tecnologico come gli Stati Uniti: la rete elettrica, le telecomunicazioni, la rete idrica, le banche potrebbero essere disattivate da un solo missile, compromettendo drasticamente il livello di civiltà raggiunto dagli USA e riportandoli a una situazione comparabile con quella degli anni Cinquanta. È un po’ la teoria degli attacchi hacker alle infrastrutture critiche, ma questa via sarebbe ancora più semplice e veloce. A conferma dell’esistenza in Corea del Nord di una testata cosiddetta “Super EMP” vi sarebbero fonti sia dell’intelligence russa che cinese, le quali hanno certo avuto un ruolo nell’operazione.

Ciò detto, le informazioni relative al missile balistico intercontinentale sono ancora tutte da verificare. Ma la sola minaccia, se ritenuta credibile, potrebbe da un momento all’altro portare gli USA a prendere per primi l’iniziativa. La deterrenza è ancora l’arma migliore in ogni guerra. Meglio allora sarebbe se la piccola Corea del Nord ricordasse bene la parole che l’ammiraglio giapponese Yamamoto pronunciò a poche ore dall’attacco a Pearl Harbour: “Ho paura di aver svegliato il gigante che dorme”.

I più letti

avatar-icon

Panorama