I tagli del Coni: uno stimolo a reagire
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I tagli del Coni: uno stimolo a reagire

Il calcio ha dormito a lungo sugli allori in nome di una scontata superiorità. Che ora va riconquistata con i risultati: lo scrivo da presidentessa

È innegabile: la redistribuzione dei finanziamenti allo sport italiano da parte del Coni mette a dura prova il mondo del pallone, rimescolando le carte su un tavolo già piuttosto disordinato e instabile qual è quello del nostro calcio. Il taglio di oltre 20 milioni previsto per la Figc andrà a nutrire realtà sportive cosiddette minori, spesso lontane dai riflettori del clamore mediatico nazionale. Una riforma definita “democratica”, perché sottopone ogni disciplina alle medesime regole, utilizzando un metro di giudizio uguale per tutti.

Ciò che sembra passare in secondo piano, purtroppo, è che le realtà sportive minori esistono anche all’interno del calcio stesso: mi riferisco al settore giovanile, ai vivai e agli istruttori, alle iniziative di promozione sul territorio e a quelle di collaborazione con scuole e istituti, attività che potrebbero subire un contraccolpo significativo nella gestione di una società come ad esempio la Virtus Lanciano da me presieduta. E il provvedimento rappresenta una scossa ancora più imponente per il calcio perché arriva in un momento delicato della stagione, con la certezza che si ripercuoterà sia sul fronte degli investimenti sia su quello dei progetti in corso.

Tuttavia, quanto sta accadendo in queste ore tra il Coni e le Federazioni sportive trascende le querelle tra figli e figliastri dello sport in Italia per trasferirsi direttamente dall’ambito economico e istituzionale a quello sociale, che contraddistingue la vera cultura dello sport. Il calcio nostrano è un’enorme industria che necessita di un costante rifornimento per soddisfare le esigenze di tutti gli attori coinvolti: società, tifosi, arbitri, spettatori. Un elemento profondamente radicato nella tradizione e nella mentalità collettiva di un Paese forse troppo abituato a far parte del circolo mediatico che celebra le grandi imprese del calcio, riservando solo la fetta più piccola della torta ad altre discipline che ugualmente (e in maniera sempre più convincente negli ultimi anni) rappresentano lo sport italiano nel mondo: pallavolo, tennis, nuoto, basket, atletica.

Ciò avviene anche in un periodo in cui il calcio italiano attraversa già una profonda crisi a livello nazionale e, soprattutto, internazionale, sia dal punto di vista tecnico sia da quello economico-organizzativo. Lo abbiamo imparato a nostre spese in questi anni, confrontando sul campo il nostro modello con le scuole europee nelle competizioni estere, a partire dalle ultime due edizioni dei Mondiali, fino alle più recenti sconfitte in Champions League. Per questo motivo penso che la decisione del Presidente Malagò, nonostante comporti una revisione forse troppo netta dei bilanci, debba rappresentare anche uno stimolo a ripartire, una presa di coscienza che risvegli la responsabilità e l’impegno del mondo del pallone a non appiattirsi sulla tradizionale, scontata, supremazia sugli altri sport, chiamati adesso a loro volta a rispondere alla “fiducia economica” riservata loro dal Coni.

L’intero sistema è chiamato, quindi, a risollevarsi e affrontare una profonda rivoluzione in nome di quei sani valori che fanno bello questo sport, e non solo il più chiacchierato o il più pagato. Lo scrivo da presidentessa, manager e amante del calcio, ma prima ancora lo dico come sportiva.

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Valentina Maio

Classe 1982, sono nel mondo del pallone dal 2008. Tifosa e Presidente della Virtus Lanciano, ne ho sposato una delle bandiere e ci ho fatto tre figli. Per me la Virtus è una questione di famiglia.

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