Jurgen Klinsmann
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Klinsmann: "Allenatore dell'Inter? No per ora, no"

L'ex centravanti non vede un suo futuro in Europa. L'Inter è la "seconda famiglia" ma il futuro lo determinerà la sua vera famiglia

"L'Inter è la mia seconda famiglia. Il primo e più importante passo fatto nella mia vita, ma non mi vedo, per ora, sulla panchina dell'Inter". Juergen Klinsmann, raggiunto al telfono a Los Angeles, quasi si commuove a ricordare la sua esperienza nerazzurra. Il suo curriculum potrebbe candidarlo alla successione a Stefano Pioli, qualora il tecnico emiliano non venga confermato, ma l'ex centravanti preferisce glissare.

Al primo posto per Juergen c'è la famiglia e per questo, dopo l'esperienza di ct della Nazionale USA, non si vede su una panchina europea, anche se avrebbe potuto ambire a partecipare già al casting aperto da Suning per il dopo Frank De Boer. La sua Germania giocò un bel calcio, arrivando fino alle semifinali (perse contro l'Italia di Lippi) e Juergen dimostrò anche molta personalità. Come suo vice scelse, tra lo scetticismo di molti, Joachim Löw, che ne ha poi raccolto l'eredità portando la Mannschaft a conquistare il titolo in Brasile nel 2014. Durante il suo mandato Juergen si scontrò anche con monumenti come Franz Beckenbauer (che gli avrebbe preferito in panchina il suo ex compagno di squadra all'Inter, Lothar Matthaeus) e Sepp Maier che lo attaccò per aver preferito schierare in porta Jens Lehman e non un Oliver Kahn ormai al crepuscolo. 

"Se mi vedo in un futuro sulla panchina dell'Inter? No, per ora no, direi. Mia figlia di 15 anni frequenta la high school e non posso ora trasferirmi. Cerco di conciliare il lavoro e la famiglia, da vent'anni vivo negli Stati Uniti. Quando ero allenatore del Bayern Monaco feci 42 viaggi tra Germania e California". Esperienza con il Bayern che si concluse anticipatamente per le divergenze d'opinione con l'altro grande ex interista Karl Heinz Rummenigge, che ai tempi di Juergen in nerazzurro lo aveva designato come suo erede. "Il rapporto con Kalle è ancora buono oggi, ma avevamo due filosofie diverse di lavoro ed è stato giusto separarci". Per dirla alla Fabrizio De Andrè "meglio lasciarci che non esserci mai incontrati". 

Rientrato da pochi giorni dall'Europa dove ha accompagnato il figlio Jonathan, 19 anni, promettente portiere della Nazionale USA Under 20, ad allenarsi in prova prima con lo Stoccarda, la squadra che lo lanciò, e poi con l'Everton. "Deve scegliere se intraprendere la strada del professionismo oppure continuare gli studi all'università di Berkeley. Il mio consiglio? Deciderà lui, in autonomia, gli ho solo prospettato i vantaggi e gli svantaggi delle due opzioni. Credo abbia delle buone potenzialità, è alto 1,94 e fargli gol è diventato molto difficile anche per me, quando ci alleniamo insieme".  

Potente, rapido, acrobatico e devastante nelle progressioni, Jurgen Klinsmann è stato uno dei più validi attaccanti dell'Inter degli anni Novanta, subito soprannominato KataKlinsmann dai tifosi nerazzurri. Arriva a Milano nel 1989 con l'Inter campione d'Italia, reduce dalla stagione dei record, e raggiungendo Lothar Matthaeus e Andreas Brehme completa il trio tedesco. La risposta al trio orange del Milan formato da Gullit, Van Basten e Rijkaard. Klinsmann ha il compito di non far rimpiangere Ramon Diaz, l'attaccante argentino che arrivò all'ultimo minuto per sostituire Rabah Madjer ("il tacco di Allah"), attaccante algerino restituito al mittente per una non perfetta integrità fisica. Dopo qualche difficoltà iniziale a trovare l'intesa con Aldo Serena, il capocannoniere del torneo precedente, Juergen conclude il suo primo campionato con 13 gol, risultando molto prezioso al gioco della squadra che chiude al terzo posto. "Fu molto importante il lavoro di Giovanni Trapattoni, un maestro della tattica. Ti correva accanto per tutto l'allenamento, guidandoti nei movimenti. Un approccio non facile per un tedesco, che è abituato all'azione, alla pratica più che alla teoria".

Il campionato non partì benissimo con l'uscita già a settembre dalla Coppa dei Campioni ad opera degli svedesi del Malmö. "Forse ci fu un po' di appagamento, dopo la stagione del primato dell'anno prima. Quando sei tra le prime squadre della Serie A o della Bundesliga o della Premier League, la differenza non la fai con i campioni, quelli li hanno tutti, ma con la giusta mentalità, con la determinazione, con la capacità di gestire lo stress. Con l'allenamento mentale". Una volta passato alla panchina, Klinsmann è stato uno dei primi tecnici a curare con maniacalità il mental coaching e lo studio dei data analytics. "Lo studio dei dati non è importante, ma necessario. Negli Stati Uniti gli sport professionistici fanno ampio ricorso all'uso delle statistiche, al benchmark con le altre squadre, all'analisi dei flussi e su questo mi sono confrontato con allenatori di altri sport come Phil Jackson dei Los Angeles Lakers della Nba o Billy Beane degli Oakland Athletics della Major league di baseball. Occorre essere curiosi, saper imparare anche dagli altri sport".

Un atteggiamento di disponibilità verso nuovi approcci o metodi di allenamento che Klinsmann mostrava anche da giocatore, quando fu uno dei pochi a legare con Corrado Orrico, nella sua ultima stagione interista. "Aveva delle buone idee, forse era in anticipo sugli anni, avrebbe meritato maggior fortuna, purtroppo ha pagato i mancati risultati. La sua gabbia era un metodo per allenare la tecnica, ma anche la velocità, l'aggressività, a saper ragionare sotto pressione con pochi tocchi in rapidità. Una metodologia che, rivisitata in alcune parti ho riproposta anche nella Nazionale USA, con partite a squadre ridotte, 3 contro 3 o 4 contro 4, o in un allenamento contro il muro simile allo squash. In generale nello sport, non solo nel calcio, quando si vince si tende troppo spesso al conservatorismo, ad adagiarsi allo status quo e a voler ripercorrere lo stesso schema che ti ha portato alla vittoria. invece occorre evolversi e provare sempre nuove strade". In una recente intervista Orrico ha ricambiato l'affetto verso Klinsmann ricordando le loro discussioni su filosofia ed arte ("Juergen aveva una fissazione per la famiglia dei Medici e per Caravaggio e mi obbligava a ristudiarmi un po' di storia dell'arte per dibattere con lui").  

Della sua esperienza interista Klinsmann ha un ricordo particolare per il presidente Ernesto Pellegrini e per Astutillo Malgioglio. "Quando ho lasciato la Germania, a 25 anni, per venire a Milano ho iniziato a conoscere il mondo. Sono stato accolto da un ambiente eccezionale, innanzitutto dal presidente Pellegrini, sempre attento al rapporto umano. Mi ha insegnato ad avere cura delle persone a cui si vuole bene. E poi Tito, una persona unica, intelligente e sensibile. E' incredibile quello che fa con la sua associazione a favore dei ragazzi disabili. Ha rappresentato un punto di riferimento, un esempio su quali priorità dare ad una vita che non si racchiude tutta solo dentro ad un pallone". 



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Filippo Nassetti