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Johan Cruijff nel ricordo di Oriali e Mancini

Storie di Coppa dei Campioni: Il primo lo marcò in Ajax-Inter del 1972, il secondo lo affrontò da allenatore in Samp-Barcellona del 1992

E' una pioggia di similutdini a colpire il giorno dopo la scomparsa di Johan Cruijff. "Come Mozart", scrive Il Corriere della Sera, "come Cassius Clay" per il Giornale, "come Stanley Kurbrick" per La Repubblica, "come Mick Jagger" per La Gazzetta dello Sport, "come Picasso" per Eurosport, "come Rudolph Nurejev" per Il Corriere dello Sport, "come David Bowie" per Four Four Two, "come Fedor Dostoevski" per Ultimo Uomo. Mentre il giornalista inglese Dave Miller scomoda addirittura Pitagora per enfatizzare la precisione delle geometrie del furiclasse olandese.

Lo ricorda invece così Lele Oriali, che se lo trovò contro - immarcabile - nella finale di Coppa dei campioni persa dall'Inter contro l'Ajax Amsterdam nel 1972: "Sono molto addolorato, ho avuto il privilegio di giocarci contro e poi di conoscerlo. Conservo ancora la sua maglia numero 14. Ci siamo incontrati poi in seguito varie volte, era sempre disponibile e aperto nei miei confronti. Mi disse anche di essere stato uno dei pochi difensori corretti ad averlo marcato".

Lele Oriali aveva solo 19 anni quando si trovò davanti uno dei più grandi calciatori della storia del football: "Era nell'apice della sua carriera. Io ero un ragazzo e avevo l'incoscienza dell'età. Ero euforico per giocare una finale di Coppa Campioni e non mi preoccupai troppo della marcatura, quando mi venne comunicata dal nostro allenatore Invernizzi. Certo avevamo visto i filmati e sapevamo che loro erano più forti". La partita terminò 2-0 proprio con due reti del genio olandese, ma Oriali ammette che il punteggio avrebbe potuto essere anche più largo: "Bordon fece dei veri miracoli". E alla fine il giovane Oriali risultò comunque uno dei migliori nella sconfitta: "Cruijff era immarcabile per imprevedibilità dei gesti -  eleganti, veloci e tecnici - e il continuo movimento in tutte le zone del campo. Potevi provare l'anticipo, ma una delle sue caratteristiche era quella di prendere sempre il tempo all'avversario".


Un altro interista che se lo ritrovò contro fu poi l'attuale allenatore nerazzurro Roberto Mancini: accadde nel 1992, quando la Sampdoria affrontò sempre in finale di Coppa dei Campioni il Barcellona allenato dal fenomeno olandese, perdendo per 1-0 ai supplementari. "Non fu facile scendere in campo a Wembley sapendo che affrontavi la squadra allenata da un mito come Cruijff", ricorda il Mancio. "Conservo un bel ricordo di quella partita, anche se alla fine uscimmo sconfitti. Segnò un'epoca anche come allenatore, vincendo la prima Coppa Campioni del Barcellona con Guardiola playmaker e costruendo le basi di quello attuale. Lui rappresentava un punto di riferimento per tanti di noi. Io l'ho visto giocare in Tv nella fase conclusiva della sua carriera, all'epoca poi se ne vedevano meno di partite, era un giocatore incredibile. Giocava ovunque, ha anticipato il 'falso nueve' di cui oggi molto si parla, è stato sicuramente un precursore. Iniziava l'azione, la terminava, era uomo assist. Sapeva fare tutto".

Nessun dubbio per entrambi sulla sua ipotetica capacità di adattarsi al calcio italiano: "Non scherziamo, non avrebbe avuto problemi. Campioni come lui, tecnici, rapidi, scaltri non hanno epoca né luogo", afferma Mancini. "Personalmente lo colloco tra i primi tre giocatori della storia, insieme a Pelè e Maradona", aggiunge Oriali, "sopra a Platini e anche sopra a Messi e Cristiano Ronaldo, che ancora devono finire la loro carriera".

 

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Filippo Nassetti