E Genova pianse. L’ultimo saluto a Riccardo Garrone

E Genova pianse. L’ultimo saluto a Riccardo Garrone

Segui Blucerchiando su Facebook e Twitter Il giorno dell’ultimo saluto a Riccardo Garrone Genova aveva gli occhi lucidi già di primo mattino. In lei, nel suo atteggiamento londinese, si possono riassumere mille stati d’animo. Alle undici, un’ora prima della cerimonia …Leggi tutto

Segui Blucerchiando su Facebook Twitter

Il giorno dell’ultimo saluto a Riccardo Garrone Genova aveva gli occhi lucidi già di primo mattino. In lei, nel suo atteggiamento londinese, si possono riassumere mille stati d’animo. Alle undici, un’ora prima della cerimonia mentre la piazza si gremiva, ha iniziato a commuoversi. Una pioggia fine e sottile, pianto sincero di chi saluta un suo figlio. Si è trattenuta finchè ha potuto ma all’arrivo del feretro, quando gli striscioni e gli applausi sono diventati tanti, è scoppiata a piangere davvero. Pioggia torrenziale, cielo grigio e aria fredda e ferma, senza vento. Un’involontaria coreografia di ombrelli, i colori della sua ballerina, qualche sciarpa rossoblù. Ai funerali non si dovrebbe applaudire, ai funerali si sta in silenzio. Ma lo scrosciare della pioggia, i battiti di mani, le sciarpe, hanno fatto capire come quello di Riccardo Garrone non fosse un normale funerale.

“Ma quanta gente…”. Chi per caso passa in zona si ferma a curiosare. La pioggia non si ferma, la gente continua ad arrivare. Bambini, adulti, anziani. Tutte le giovanili blucerchiate, i rappresentanti delle squadre di serie A. C’è anche Antonio Cassano, arrivato in top secret e subito entrato in chiesa. Con lui anche la moglie Carolina, figli acquisiti di Duccio. C’è il Genoa al completo, gli amici della famiglia Garrone, Flachi, Volpi, Marotta, Baldini della Roma, Beppe Iachini, i dipendenti della Erg, tifo organizzato. “Sampdoria, la pioggia non ci bagna quando giochi tu”. Un coro da stadio che oggi vale ancor di più. Nella via che porta alla chiesa del Gesù, transennata, il gruppo Fieri Fossato alza uno striscione. “Ciao presidente”. La bara arriva, in legno chiaro. Viene portata all’interno della chiesa dove la famiglia Garrone ha chiesto discrezione. Niente fotografi, niente di eclatante. Lui avrebbe voluto così, lui che presa la presidenza era stato piacevolmente sorpreso da quella popolarità. Non era un tifoso, ma con il tempo aveva imparato ad amare la Sampdoria. L’aveva salvata quando il fallimento era vicino e da imprenditore si era via via riscoperto sostenitore e padre, un percorso sulla scia di Paolo Mantovani, amico che la Samp l’aveva resa grande.

Il feretro entra in chiesa, la cerimonia inizia. Tanti restano fuori sotto la pioggia. Gli striscioni non si abbassano, neppure per un secondo. In piazza c’è di tutto. Alcuni cercano un riparo dall’acqua, fanno cerchio. Raccontano aneddoti per sentito dire, quelli che ti fanno vantare di conoscere qualcuno. “Io so che…”. Altri si defilano, un caffè e due discorsi con la sciarpa al collo, quasi un prepartita. Chi resta attaccato alla transenna aspetta, inevitabile parlare di Samp, inevitabile parlare di lui.

E proprio mentre la cerimonia si avvia alla fine, Genova si ricompone e smette di piangere. La pioggia cessa, di colpo. Adesso in piazza c’è il silenzio. Gli striscioni restano alti, gli ombrelli si chiudono. Il feretro va via e un lungo applauso accompagna il presidente. E ora che il ricordo della felicità non è più felicitá, il ricordo del dolore è ancora dolore. Ma il dolore è un modo d’incontrarsi. Ciao Duccio, grazie.

Segui Blucerchiando su Facebook Twitter

I più letti

avatar-icon

Matteo Politanò