Rio 2016, basket: il (campus) segreto dietro la favola Australia
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Rio 2016, basket: il (campus) segreto dietro la favola Australia

Dietro le vittorie dei Boomers, semifinalisti a sorpresa del torneo olimpico di pallacanestro, un centro specializzato nella costruzione di giocatori. Da lì sono passati Mills, Dellavedova e Luc Longley

Spagna contro Stati Uniti e Serbia contro… Australia. Tutto come previsto, o quasi, nelle semifinali del torneo olimpico di basket in programma stasera dalle 20.30 ora italiana. Il 'quasi' è dovuto proprio alla presenza nel lotto delle magnifiche quattro dei ‘Boomers’ australiani: possibili outsider alla vigilia, poi sorpresa della competizione e ora squadra ritenuta unanimemente come quella in grado di esprimere il miglior gioco, almeno fino a questo momento.

Con il centro ex Golden State Andrew Bogut (apparentemente) a mezzo servizio, a causa dell'infortunio al ginocchio subito durante le scorse finali Nba, e senza Ben Simmons, prima scelta assoluta di Philadelphia all'ultimo draft Nba, la squadra numero 11 del ranking mondiale (l’Australia) ha battuto la numero 6 (Serbia, che ritroverà in semifinale), la numero 5 (Francia), la numero 3 (Lituania, battuta nei quarti di 26 punti) e fatto sudare le proverbiali sette camicie a Team USA

No, l'exploit dei canguri australiani sul parquet di Rio non è e non può essere un caso. Qualche mese fa due giornalisti del Guardian, Kieran Pender ed Elliot Williams, erano andati a vedere con i loro occhi dove nascono anzi, dove vengono ‘costruiti’ i talenti australiani per provare a dare una spiegazione al boom del basket nel continente. La risposta l'avevano trovata in un campus di Canberra che oggi si chiama "Basketball Australian Centre of Excellence". Una vera e propria 'fabbrica' di atleti professionisti che affonda le sue origini addirittura nel luglio 1976, quando dopo le Olimpiadi di Montreal il paese intero puntava il dito contro la spedizione australiana, tornata dal Canada senza ori e finita al 32esimo posto nel medagliere, dietro anche agli odiati cugini neozelandesi. 

Dopo diversi anni di discussione sui tavoli del Parlamento del Commonwealth, nel 1981 il governo australiano annunciò l'apertura del 'National Institute of Sport' con l'obiettivo di riportare in alto il nome del paese attraverso lo sviluppo di discipline olimpiche ritenute strategiche tra cui nuoto, atletica, ginnastica, tennis, sollevamento pesi e, per l'appunto, la pallacanestro.

Da allora 12 ragazze e 12 ragazzi - all'inizio diciottenni, oggi dai quindici anni in su - sono stati scelti ogni anno per entrare a far parte della squadra di basket e seguire una specifico programma di allenamento in grado di formarli e prepararli ad affrontare una carriera da professionisti.

Nel 1986 era toccato a un certo Luc Longley entrare nel campus dove allenatori, fisioterapisti, nutrizionisti e psicologi si occupano della formazione dell'atleta: sveglia alle 6 del mattino per la seduta di pesi in palestra; scuola dalle 8 alle alle 14 e poi altre 4 ore di allenamento nel pomeriggio su fondamentali, gioco di squadra ma anche gestione dello stress e del proprio corpo (viene insegnato anche il modo corretto di fasciare le caviglie). Dieci anni più tardi il centrone di Melbourne sarebbe diventato tre volte campione Nba con i Chicago Bulls di Michael Jordan e Scottie Pippen.

In generale tutti i talenti australiani di ieri e di oggi - fa eccezione Ben Simmons, transitato da Canberra per soli 3 mesi prima di cedere alle sirene di Louisiana State - sono passati per il Basketball Centre dove, stando alle parole di Andrew Bogut, per filosofia 'si bada alla crescita individuale del giocatore più che al risultato'. A quest'ultimo proveranno a pensarci Dellavedova, Mills e gli altri ex del campus in campo a Rio per regalare all'Australia una medaglia storica, che viene da lontano.

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Teobaldo Semoli