Armstrong ed altre storie di doping
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Armstrong ed altre storie di doping

Lo sport è meraviglioso, crederci alle volte è difficile (detto da uno che quella notte al Giro...)

Insopportabile. E chiediamo venia se ci viene voglia di tornare sull’argomento. Ora che il re è nudo, spogliato di una montagna di maglie gialle e vestito solo del mantello rosso della vergogna, tutti gli sputano addosso. Agghiacciante veleno, congelato come fiale di epo quando il re, Lance Armstrong era uno degli uomini più potenti del mondo. Adesso piccole iene, un tempo un tempo alleate, se lo divorano. Boccone troppo grande e troppo facile.

“Gli chiesi due fiale di eritropoietina. Mi disse che erano nel frigorifero vicino al latte”, dice Hincapie, uno di quelli che gli leccavano i piedi. Delatori da quattro soldi. Armstrong si drogava e, come giusto, pagherà postumo facendo a pezzi la sua immagine. Di quella degli spifferatori tardivi non resterà nulla. Se non un mondo di tristezza eccessiva. Perché stiamo ancora aspettando, con la ragionevole certezza di farlo per sempre, qualcuno che vuoti il sacco quando è il momento, a costo di far saltare tutto. Invece è sempre il solito gioco dell’arrampicata degli specchi, talvolta davvero ridicola. Mentre poi si andrà a frugare nel pattume del passato. A proposito di sacchi, specchi e pattume, vi regaliamo qualche immagine, tanto per capire come gira il mondo che – attenzione – non è solo quello del ciclismo.

Sanremo, primavera 2001, notte tra il 6 e il 7 giugno, inizio dell’ultima settimana e vigilia della tappa più bella. Si sparge la voce che Marco Pantani sta per lasciare la Corsa Rosa e ci si muove verso il suo albergo, tanto per capire. Esce il povero Adriano Dezan che parla di una cena movimentata, dai toni alti. Ma nessuno ancora immagina che aspettando gli sviluppi di questa storia sportiva, all’improvviso ecco le sirene blu, come le macchine dei carabinieri. L’inferno e il finimondo. La notte dei lupi e delle streghe. Perquisizioni a tappeto. Facciamo il giro dell’albergo, tanto per dare un’occhiata sul retro. C’è un corridore che tenta di scappare da una finestra. Da ogni piano volano sacchi con flebo, aghi, fiale, lacci emostatici. Questa notte non finisce mai. All’alba incontriamo per caso Dario Frigo sulle scale, ai tempi era uno di quelli che andavano forte. “Dormito poco”, dice guardando il tappeto. Poi si saprà che gli hanno sequestrato delle fiale, acquistate come epo sintetica e che le analisi riveleranno invece acqua fresca. La beffa nella frode. E’ storia che quel giorno il Giro non si correrà, per riprendere poi, chiudendosi tra gli insulti di Milano.

Altra storiella vissuta in prima persona, che sono poi quelle che restano più vive negli occhi e nel ricordo. Semifinale dei 100 metri alle Olimpiadi di Atene. Due neri in maglia bianca, compagni di allenamento in California, Gatlin e Crawford irridono il mondo: settanta metri di corsa come un volo sulle nuvole e gli ultimi trenta a parlarsi, incitandosi a vicenda col sorriso beffardo. Finale. Velocissima. Cinque atleti sotto i 10”. Vince Justin Gatlin. Shawn Crawford è quarto ma con il suo primato personale. Il giorno del ritorno a casa incrociamo Gatlin all’aeroporto. Stesso sorriso beffardo, cappellino da baseball sulle ventitre e medaglia d’oro al collo. Glie la strapperanno di lì a poco, perché era tutto un trucco di ormoni e steroidi. Bello, meraviglioso lo sport. Ma qualche volta crederci è maledettamente difficile

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Carlo Genta