Prima Thorpe, poi Phelps: ma i nuotatori sono più a rischio dipendenze?
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Prima Thorpe, poi Phelps: ma i nuotatori sono più a rischio dipendenze?

Risponde lo psicologo sportivo Silvio Russo, che spiega come negli sport individuali lo stress da prestazione possa portare ad abusi di alcol e non solo

Lo scorso 3 febbraio era successo all'ex campione di nuoto Ian Thorpe, fermato in auto in stato d'ebbrezza e ricoverato in ospedale a Sydney. Pochi giorni fa è toccato invece a Michael Phelps, 18 volte campione olimpico di nuoto fermato e arrestato dalla polizia americana. Sospeso per sei mesi dalla federazione sarà costretto a saltare i mondiali di nuoto del 2015 in Russia. Per Phelps è la seconda squalifica dopo quella di tre mesi per aver fumato marijuana, nuovo eccesso per un atleta dalla carriera eccellente ma spesso in difficoltà nella vita privata. Esattamente come il suo collega australiano Thorpe cha ha rivelato i suoi problemi con alcol e depressione in una auto biografia: "Nemmeno la mia famiglia è consapevole del fatto che ho speso un'importante parte della mia vita combattendo quella che posso solo descrivere come una depressione paralizzante. Ho usato l'alcol come un mezzo per liberare la mia testa da pensieri terribili, come un modo per gestire i miei stati d'animo". Eccessi legati ad atleti che praticano sport individuali: esiste un legame tra la predisposizione all'utilizzo di alcolici e sostanze che creano dipendenza e gli sport praticati? Lo abbiamo chiesto a Silvio Russo, medico che si occupa di psicologia dello sport. 

Esiste un collegamento tra gli sport individuali e la predisposizione all'eccesso nella vita privata?
"Il collegamento senza dubbio c'è, gli atleti di sport individuali che sono di alto livello hanno su di loro tutti i riflettori e vivono un carico di stress molto alto. Per questo motivo devono aggiungere allo sforzo e all'impegno che caratterizza la loro attività anche le aspettative dei tifosi e in molti casi degli sponsor. Più sale il livello di aspettativa, più sale lo stress".

Perché questi atleti vanno più in difficoltà?
"Questi atleti non si allenano da soli, hanno uno staff, tuttavia rimangono spesso soli con sé stessi. Se non si è imparato metodi efficaci per vincere stress e la tensione è più probabile che si ricorra all'uso di sostanze che hanno anche l'effetto secondario di vincere lo stress".

Come l'alcol?
"Esattamente, l'alcol ha anche effetto ansiolitico, quindi non mi sorprende l'idea che atleti di questo tipo possano andare incontro all'abuso di alcolici. L'alcol è un sedativo, si comincia cercando il gusto ma si finisce cercandone l'effetto". 

Ma questo può succede anche negli sport di squadra...
"Certo, esistono casi in tutti gli sport ma sicuramente condividere insieme in squadra gioie e dolori, allenamenti e fatica è un punto a favore. Il gruppo ha anche un forte effetto protettivo sugli atleti che ne fanno parte e in un team, lasciando perdere i casi singoli che esulano da questo esempio, le tensioni possono essere ammortizzate". 

Ha avuto modo di seguire nuotatori e confermare la sua teoria?
"Sì, ho seguito nuotatori di livello nazionale. Ho notato che tutti hanno una grandissima propensione al sacrificio ma il problema nasce dalla ripetivitià delgi allenamenti che spesso rischiano di diventare alienanti. Da una parte c'è l'allenamento fatto con passione e responsabilità , dall'altra il rischio di demotivarsi, legato alla ripetività. Nel nuoto non c'è contatto, ci sono poche variabili, non c'è vento e pioggia, dipende tutto dall'atleta. Il rischio è di vivere la propria corsia e il proprio sport come una prigione e di perdere il contatto con la realtà". 


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Matteo Politanò