La resa di Armstrong: "Mi sono sempre dopato"
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La resa di Armstrong: "Mi sono sempre dopato"

"L'ho fatto in tutti e 7 i Tour". Confessione piena ma salva Ferrari: "E' una brava persona"

Una confessione piena anche se restano zone d’ombra e il sospetto sgradevole che sia stata fatta per calcolo e non per reale pentimento. Però l’intervista di Lance Armstrong con Oprah Winfrey, attesa in tutto il mondo, non ha deluso le attese.  “Sì, mi dopavo. Ho iniziato con il cortisone a inizio carriera, poi a metà anni novanta l’Epo ha cominciato il texano: “E’ troppo tardi per la mia ammissione secondo la maggior parte delle persone, ed è colpa mia. E’ una grossa bugia quella che ho ripetuto tante volte”.

Armstrong ha cancellato la credibilità del ciclismo picconandolo dal suo interno. Ecco il suo racconto del mondo che l’ha reso grande. Una testimonianza durissima: “Vincere senza doping nella mia generazione non era possibile. Non avevo accesso a cose che altri corridori non potessero prendere”.

“La cultura in quel momento era quella che era, senza doping non si vincono 7 Tour… Qualcuno dice che c’erano 200 corridori iscritti al Tour e forse 5 non si dopavano e penso che avesse ragione. L’idea che qualcuno dei mie compagni sia stato costretto a doparsi non è vera. Non è facile per uno come me chiamare qualcun altro bugiardo, ma non ho obbligato nessuno a farlo”.

Poi la malattia e l’incapacità, secondo Lance, di controllarsi: “Mi dopavo prima del cancro ma non ero un bullo, lo sono diventato dopo… Doparsi era come mettere aria nelle gomme o acqua nelle borracce, lo facevano tutti”. Eancora: “Ero un filantropo ma anche un bugiardo, adesso sto pagando un prezzo alto, ma è tutta colpa mia. Merito quello che accade adesso. Il desiderio di vincere mi ha aiutato quando ho sconfitto il cancro, ma mi ha messo nei guai successivamente”.

Perché il castello è caduto. Il texano, dopo essersi scusato con vari collaboratori e aver negato che in passato un suo controllo positivo fosse stato coperto dall’Uci, accusa l’ex compagno Landis: ”Il mio ritorno alle corse non è piaciuto a lui. Se non fossi tornato alle corse in questo momento non saremmo seduti qui. Sì, rimpiango di essere tornato”

Armstrong ha parlato anche della lotta al doping e delle fasi dell’inchiesta che lo ha travolto fino alla decisione di non difendersi più: “Due cose sono cambiate: il passaporto biologico, che funziona, e i test condotti fuori dalle competizioni. Dopato dopo il mio ritorno? Non è vero, l’ultima volta è stato nel 2005. Nel 2009 e 2010 non mi sono dopato e non ho fatto trasfusioni, è così”.

Armstrong si è detto anche pentito di come ha combattuto all’inizio l’inchiesta dell’Usada: “Potessi tornare indietro invece di combatterla chiederei tre giorni di tempo per parlare con la mia famiglia e i miei sponsor e poi confesserei”. E apre alla collaborazione futura: “Se dovessero esserci i presupposti di collaborare con una commissione indipendente, e io sarò invitato, lo farò”.

Freddo, lucido come quando andava in bicicletta. Quasi nessuna commozione ma, anche , nessuna ammissione o nome su chi lo aiutato nel corso di tutta una carriera. Alla fine Armstrong ha lasciato aperto più di un capitolo e forse non basterà nemmeno la seconda parte dell’intervista per chiuderlo. E’ certamente rimasto deluso chi si attendeva risposte sul ruolo dell’Uci e qualche nome in più. Il texano ha difeso il dottor Ferrari ancora una volta: ”Ci sono persone in questa storia che non sono assolutamente dei mostri, Michele Ferrari è una brava persona, una persona intelligente”

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Giovanni Capuano