Raffaella Leone: "Mio padre mi diceva che l'Italia non pensa in grande"
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Raffaella Leone: "Mio padre mi diceva che l'Italia non pensa in grande"

La figlia del regista: "Mi ha insegnato a guardarmi allo specchio e ad essere soddisfatta di me stessa"

Quando hai un padre come Sergio Leone la passione per il cinema ti resta  nel sangue. Non a caso Raffaella Leone, 50 anni, produttrice  cinematografica con il fratello della Andrea Leone Film – che ha  co-prodotto il film “Amiche da morire” e l’ultimo di Gabriele Muccino "Playing the field" - la definisce una “malattia ereditaria”. Dopo il grande evento a Cannes del restauro di "C’era una volta in America", presentato in versione estesa in presenza del cast originario (con tanto di lacrime di De Niro), Raffaella racconta a Panorama.it l’emozione e l’orgoglio di essere una figlia d’arte.

Che tipo era Sergio Leone?

Un uomo di grande spessore, colto, con tutto il cinismo e il sarcasmo  tipico di noi romani, ma anche con la sensibilità e l’attenzione  necessarie per riuscire al meglio nel proprio mestiere. Un uomo leale,  fedele ai suoi principi, con una moralità inusuale: oggi è difficile  trovare persone che davvero credono e rispettano i propri valori e  restano coerenti con se stesse come lui. Uno che ha fatto solo i film in  cui credeva, e per nulla al mondo avrebbe tradito i suoi principi: ha  aspettato 10 anni per fare il film che voleva, e piuttosto ha fatto  altro, pur di non  tradire il suo desiderio. Tutti mettiamo avanti le  aspettative economiche o di successo, lui non l'ha mai fatto.

Viene ricordato come un uomo molto simpatico...

Lo era davvero: divertente, spiritoso, amava moltissimo la compagnia,  tant’è che era sempre circondato da amici e dimostrava grande disponibilità e generosità verso gli altri, sia a livello materiale che  morale. Era un amico presente, i suoi valori vengono fuori dai suoi  film, e non era uno che si autoincensava.

L’insegnamento più grande che le ha lasciato?

Riuscire a guardarti allo specchio ed essere soddisfatta di te.

Un ricordo di infanzia?

Mi viene in mente il Luna Park. Mia madre odiava andarci, così la  domenica lui portava un gruppo di bambini tra figli e nipoti. Ricordo che litigavamo con lui come si bisticcia tra bambini, quando ci metteva  sugli aeretti che sparavano e dovevi abbatterli, si accaniva e non ci lasciava mai vincere, anche se magari mia sorella aveva tre anni. Come  molti uomini aveva un aspetto infantile prevalente, con noi figli era un padre presente e un amico. Con deliziose fissazioni: ricordo i nostri  giri di sabato al ghetto, c’era un negozio di mostaccioli, prosciutto,  fichi e ricotta, dove ci portava a fare scorta di leccornie.

Sul set era diverso rispetto a com’era a casa?

Se nella vita era pigro, con tempi allungati e lenti, sul set era  l’opposto: non sarebbe andato a dormire mai, non sentiva il caldo, il  freddo, la fatica. L’unica cosa era il cibo, a cui non rinunciava  neanche in fase di riprese, ed era infatti motivo di litigi con Delli  Colli. Era instancabile, nonostante la mole, attento agli attori,  preciso, pignolo. L’unico atteggiamento che aveva in comune tra casa e  set era quello del padre di famiglia autoritario che tiene tutti sotto controllo, proteggendoli e coccolandoli di continuo.

Se oggi fosse vivo cosa penserebbe del nostro Paese?

Quello che ha sempre pensato: abbiamo potenzialità enormi, spesso non sfruttate nel modo giusto. Pensiamo al cinema italiano, la tendenza è non guardare tanto oltre, ma rimanere imprigionato nei propri confini. Il mondo è grande, noi siamo un piccolo Paese con enormi capacità: dovremmo cominciare a pensare in più grande. Ecco cosa direbbe oggi papà.

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Claudia Catalli