C'era una volta la Scala...
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C'era una volta la Scala...

Testimone dell’alta società che fu, all'apertura della stagione scaligera Raffaella Curiel rimpiange il passato: "Stiamo perdendo l’eleganza"

C’è la moda, ci sono i salotti, la cultura, la cucina, l’aneddotica di un’esistenza vissuta nell’alta società milanese e romana in tutte le sue stagioni. Ci sono la Scala, la crisi, il Quirinale, i nuovi soci cinesi che la scorsa primavera «hanno comprato la nostra storia».
La vita di Raffaella Curiel, la stilista (o «la sartina», come si è sempre autodefinita) delle signore bene, è una sofisticata avventura nell’Italia che fu. Eppure, quando lei parla, dimostra la lucida modernità di sguardo di chi è allenato a osservare
i tempi. Quelli durante i quali, dal 1945 in poi, sua mamma Gigliola vestiva, per prima, attrici, fanciulle e dame per l’apertura della stagione scaligera («allora gli abiti si facevano apposta»), ma anche quelli di oggi, «in cui l’ex direttore Riccardo Muti ha sdoganato uno stile shabby chic, permettendo che gli uomini non indossino più lo smoking».
È chiaro che ha dei rimpianti.
La «prima» del dopoguerra è quella dell’Italia che risorgeva, guadagnava, si ingioiellava. Negli anni Sessanta, mia madre vestiva Bedi e Lina Moratti, Evelina Shapira, Adonella Carraro Colonna, Silvana Pampanini, Sveva Casati Stampa. Noi giovani venivamo educati alla musica: si stava insieme a teatro e poi alle feste nelle case, da quella della famiglia Crespi in giù.
Parla di un mondo che non c’è più?
Le grandi «prime» di Londra e New York hanno conservato l’«allure» del passato. Da noi, invece, si è voluto globalizzare l’evento e avvicinarlo ai cittadini. Bene, ma non ne ha guadagnato l’eleganza, né il sistema moda: si vedono delle attricette conciate in modi grotteschi. È tutto sottotono: l’unica che si «straveste» e fa la ragazzina è Daniela Santanchè.
Di chi è la colpa?
Alla mia età, parlo liberamente: non dipende solo dalla crisi economica. L’umore, a Milano, è iniziato a cambiare dopo il ’68. Negli animi si è fatto strada una sorta di senso di colpa e di timore. Dopo, è arrivato il terrore della Finanza.
Il risultato è che stanno tutti quatti, anche quelli che avrebbero ancora i mezzi per spendere. Lo dico: rimpiango gli anni di Bettino Craxi e Silvio Berlusconi.
Ha vestito tante first lady: le preferite?
Clio Napolitano, donna di grande tempra, e Franca Ciampi, una mia amica. Sono donne di potere, ma di grande umanità. Una specie in via d’estinzione: si è conquistato più potere, ma si è persa l’umanità.
Pensa lo stesso di Ivana Trump, sua amica, ed ex moglie del nuovo presidente degli Stati Uniti?
Ivana è una donna vera. Ha sfilato per me a Trinità dei Monti a Roma, anni fa. Potrebbe essere milionaria o non avere una lira: lei è lei. Sono felice per questo suo momento.
Le piace lo stile di Agnese Renzi?
Purtroppo lei non rappresenta bene quel grandissimo genio di Ermanno Scervino. Meglio il marito: quando si mette a modino, sa essere elegante.
Come vede la moda oggi?
La moda non è più di moda. Ce n’è troppa e c’è confusione, perché riflette la confusione del mondo. C’è però un aspetto positivo: le tante possibilità consentono di scegliere. Vorrei allora che le donne usassero la moda e non si facessero
usare da essa. Bisogna indossare ciò che dona, evitando di fare degli scempi solo per seguire gli altri.
Tra le sue amiche, le scomparse Maria Angiolillo e Marta Marzotto, dominae dei salotti di Roma e di Milano.
Come le ricorda?

Erano amiche di mia madre Gigliola, che morì quando io avevo 25 anni. Mi hanno protetta. Maria, contrariamente a quello che si è scritto, ha regalato il cuore in ogni momento della sua vita. Quando iniziai a sfilare a Roma, mi inserì nel giro di tutte le sue amiche, senza volere mai nemmeno un paio di guanti in regalo. Marta, che fece la modella per mia mamma, era donna di enorme generosità: vent’anni fa, la incontrai in via Montenapoleone con una pelliccia di zibellino che nemmeno in tre vite mi sarei potuta permettere. Se la tolse e me la regalò. In cambio, veniva a vestirsi da me quando voleva. E creavamo insieme.
Il suo è sempre stato un ponte tra Milano e Roma, con deviazioni a New York. In che cosa si differenziano le due città italiane?
A Milano ci si veste per il giorno, a Roma, invece, per la sera. Nella Capitale si mescola tutto: la politica, l’aristocrazia, il Vaticano, le ambasciate, i palazzinari, la Rai, il cinema... C’è voglia di fare festa persino ai funerali.
Che cosa intende?
Sono rimasta basita al funerale del principe Carlo Giovanelli. Ho visto nella realtà le scene de La grande bellezza: sembrava una festa del morto, dove tutti facevano foto, senza alcuna spiritualità. Lui non avrebbe di certo approvato.
Ha da poco venduto il suo marchio ai cinesi di Redstone, le pesa?
Loro hanno l’entusiasmo dell’Italia del dopoguerra di cui si parlava prima. E fa effetto se si pensa che sotto Mao, appiattiti, non hanno avuto nemmeno la possibilità di sognare.
Come hanno potuto capire il suo stile?
Intanto, le collezioni le continueremo a disegnare io e mia figlia Gigliola. Inoltre, Mr. Zhao è un uomo di cultura che ha studiato la storia dell’arte, ha vissuto in Italia e ha fatto il giornalista. Ha capito che con Curiel comprava più che altro una storia.
Avete buoni rapporti?
Sarà il mio cavaliere alla prima della Scala.

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Lucia Scajola

Nata e cresciuta a Imperia, formata tra Milano, Parigi e Londra, lavoro a Panorama dal 2004, dove ho scritto di cronaca, politica e costume, prima di passare al desk. Oggi sono caposervizio della sezione Link del settimanale. Secchiona, curiosa e riservata, sono sempre stata attratta dai retroscena: amo togliere le maschere alle persone e alle cose.

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