La campagna Going flat sul New York Times
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Senza protesi dopo il cancro al seno: la scelta delle donne di "Go flat"

Si tratta di una nuova campagna di sensibilizzazione sui rischi della mastoplastica dopo la rimozione dei seni dovuta al tumore

E' possibile tornare a sentirsi donne anche dopo un tumore al seno e senza ricorrere alla mastoplastica addittiva? Secondo le sostenitrici del progetto Go flat sì. Si tratta di un gruppo di ex pazienti oncologiche che vogliono sensibilizzare l'opinione pubblica sul fatto che non deve essere obbligatorio per una donna sottoporsi alla mastoplastica per ricostruire il seno spazzato via dal tumore.

Debbie Bowers, 45 anni, è una delle portavoce del movimento del going flat, "Restare piatte" e, al New York Times che a loro dedica la copertina, ha raccontato: "Avere qualcosa di estraneo nel mio corpo dopo un cancro era l'ultima cosa che volevo".

Inoltre, spiega la donna, troppo spesso i medici non illustrano i rischi che si possono correre con l'intervento che ritengono quasi parte integrante del percorso di cura, mentre secondo le attiviste di Go flat non è così.

Basti pensare al caso di Marianne DuQuette Cuozzo, 51 anni, che ha attraversato quattro infezioni in cinque mesi prima di decidere di rimuovere le protesi. "Nessun medico mi ha mai detto che c’era la possibilità di rimanere senza seno - ha spiegato - La chirurgia veniva data come scelta obbligata".

Secondo Go flat non è il seno a rendere tale una donna e pensarlo è frutto di una visione sessista e maschilista della società.

Essere sopravvissute al cancro, per queste combattenti, è fonte di orgoglio e non elemento da nascondere grazie alla chirurgia estetica.

Alcune di loro, ad esempio, hanno coperto le cicatrici con tatuaggi e disegni e portano i segni di quanto vissuto senza aver bisogno di nascondersi.

Non tutte sono tenute ad avere il loro stesso coraggio, però ogni donna dovrebbe poter aver il diritto di scegliere o meno se adottare un seno finto dopo il cancro.

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Barbara Massaro