Gli anni passano anche per i calendari
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Gli anni passano anche per i calendari

Dalle pagine colte e patinate all’esibizione quasi hard del corpo femminile. E ritorno. Ogni periodo storico ha il suo datario

Tra le molte storie mai scritte in Italia, c’è anche quella dei calendari, genere editoriale tutt’altro che trascurabile. Per abbozzarne una bisogna partire dalla fine degli anni Sessanta, seguendo la via di quello che diventa il leitmotiv del genere: il corpo femminile. È infatti nell’era della contestazione e dell’erotismo "naturista" che arriva dal Nord Europa, quando il pubblico più esigente passa dal lunario di Barbanera, prima edizione nel 1762, alle pagine ancora per pochi del calendario Pirelli: e nel 1968 il fotografo è Harry Peccinotti, art director di grido nella swinging London, che ritrae le ragazze in Tunisia e integra le foto (senza nudi completi) con poesie di autori come Elisabeth Barrett Browning e Allen Ginsberg.

Si capisce che il mezzo ha grandi potenzialità. Una giovane Raffaella Carrà dà corpo e sorriso al calendario Lambretta del 1970, anche se deve condividere la scena con i prodotti dell’azienda. Siamo nel decennio del piombo, della crisi petrolifera, di Giulio Carlo Argan, uno storico dell’arte, sindaco di Roma. La tensione si riflette nelle immagini esplicite e aggressive delle riviste "per soli uomini", o per uomini soli. Fotografate sul calendario di Playmen del 1977 compaiono due attrici francesi, Edwige Fenech e Maria Schneider: si tratta di nudi forti, che insistono sulla situazione prima che sulla bellezza. La peluria pelvica ancora protegge il mistero del sesso femminile.

Il tono cambia con il decennio successivo. L’Italia calcistica di Enzo Bearzot sembra avere superato le difficoltà, anche perché ha deciso di stare con gli Stati Uniti, invece che con l’Urss. È il piccolo schermo a stabilire il canone estetico, e il vero lascia il posto all’ideale, magari visto dal buco della serratura. Il calendario Pirelli del 1985 è tutto uno sfarfallio di luci e di lusso: a scattare è ancora un fotografo di moda, Norman Parkinson, e il setting è quello di una sfilata, dove il nudo è colto quasi per caso, tra un cambio d’abito e una seduta di trucco. La differenza rispetto al calendario di Playboy del 1988 è solo una questione di buon gusto.

Negli anni Novanta la fotografia su pellicola è al suo apice e i suoi interpreti vivono come rockstar. È di Marco Glaviano il calendario di Max del 1991, dove le modelle sono manifestazioni del divino. Invece il maestro Helmut Newton firma due edizioni del calendario Lavazza, 1993 e 1994, e la fotografia è ormai la più realistica delle astrazioni.

Arriva anche il momento degli uomini, che toccano un pubblico diverso: Raoul Bova è il testimonial del calendario di Max del 2000, il fenomeno si è allargato a dismisura. Ora le prime a spogliarsi sono le veline, che nei calendari trovano insperata visibilità. Ma siamo ormai alla più economica fotografia digitale, e presto al loro fianco compaiono le casalinghe, i vigili del fuoco, le pallavoliste...

La svolta arriva nel 2013: il calendario Pirelli ha cambiato strada. Di modelle, attrici e cantanti interessa l’umanità, prima del corpo. La buona fotografia è diventata contenuto.

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Stefano Pirovano