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Sgarbi racconta l'orgoglio di Padova, capitale del Rinascimento - FOTO e VIDEO

L'età dell'oro di metà del Quattrocento, quando la città fu importante per l'arte tanto quanto lo fu Parigi ai primi del Novecento

Padova, Centro Culturale Altinate San Gaetano. Tra le sfumature della sera a filtrare dal tetto trasparente della sala Agorà, Vittorio Sgarbi è atteso per la sua lectio magistralis sui tesori della città venetà.

Ad affollare l'ingresso al palazzo la solita moltitudine fatta di appassionati d'arte, fedelissimi del tour di Panorama, e fan del burrascoso genio del critico d'arte.

Ritardo zero

"Nella vita di ogni uomo, c'è un segno del tempo. Nel caso di Sgarbi, è dettato dalla puntualità: più va avanti più migliora". L'ironica presentazione/introduzione del direttore di PanoramaGiorgio Mulè va a punzecchiare la cronica tendenza al ritardo del protagonista. Che questa volta, però, gli fa difetto. Per la gioia di tutti.

Un'aggiustata al microfono e si comincia da un elogio alla confidenza con la città ospite, che Sgarbi fa risalire a ben prima del suoi primi contatti con l'arte.

Sgarbi presenta i "tesori" di Padova

Contatti tardivi, successivi a un'adolescenza segregata in un istituto scolastico religioso a Este, nella provincia padovana. Altro segno...

"Quel collegio era in un bellissimo palazzo - racconta - ma io ero così preso da altro che non riuscivo minimamente a rendermene conto".

Galeotto fu un ciclomotore

Poi venne il tempo della Lambretta, regalo dei genitori. Siamo nel 1966-67 e, dopo averla posteggiata, Sgarbi entra per la prima volta nella Cappella degli Scrovegni, "una meraviglia architettonica che ospita allegorie altrettanto straordinarie. Da notare, in particolar modo, i due spazi di architettura gotica, che rappresentano i primi esempi di prospettiva intuita da Giotto nel Trecento, cioè ben prima di Piero della Francesca un secolo più avanti".

"Erano tempi in cui falsi restauratori, falsi sovrintendenti avevano quella straordinaria capacità di violentare le opere d'arte", ricorda. "E la chiusura dell'ingresso principale, anteriore, della Cappella è un esempio clamoroso di questo stato di cose.

Ma è stato ai tempi dell'università che, grazie a un professore illuminato, la passione di Sgarbi per l'arte sboccia arrivando addirittura a soppiantare quella per la letteratura. E ritorna a Padova, fisicamente, ma anche rievocando i due momenti storici in cui la città veneta era famosa e importante almeno quanto lo fu Parigi ai primi del Novecento.

L'età dell'oro
 
"Fu agli inizi del Trecento, quando arriva Giotto, soprattutto alla metà del Quattrocento, quando è la volta di Donatello. Quest'ultimo lascia a Padova molte delle sue opere più importanti", spiega il critico.

Una delle più rappresentative, che precede il momento in cui l'artista lascio la città è Il Busto di San Lorenzo.

Attorno al 1454, con il Mategna, il Rinascimento trova poi in Padova la sua nuova capitale.

"Nasce così l'Officina Padovana, dove chiunque, all'epoca, volesse apprendere l'arte non può fare a meno di recarsi a studiare. Senza di questa, tutto quello che sarebbe arrivato dopo non sarebbe mai potuto essere", afferma.

Tra i pittori passati dall'Officina, ci sono Bartolomeo Vivarini, Giovanni Boccati, Girolamo di Giovanni, Marco Zoppo, poco conosciuto ma straordinario. "Insomma - argomenta Sgarbi - tutto accade qui, tutto il meglio è passato da qui". Dopodiché, ci fu il passaggio del testimone a Venezia.

I nuovi fasti (in ombra) del barocco padovano

Il Seicento è un'epoca sottovalutata, nonostante l'onda meravigliosa di un Tiziano trionfante, che realizza i suoi capolavori proprio a Padova.

"Nel suo spirito, il Padovanino e Pietro Liberi - racconta il maestro sul palco - due talenti straordinari fanno rivivere in questa città la linfa del loro più celebrato predecessore".

Tutto ciò verrà rappresentato nella mostra sul barocco veneto che Sgarbi sta preparando e che esordirà nel 2017 e che passerà anche tra diversi palazzi e ville.

Una di queste è Villa Emo Capodilista, dall'originale architettura, ospita una serie di straordinari affreschi di uno dei grandi pittori del '600 italiano, Luca Ferrari, detto Luca da Reggio

"A fianco della mostra - illustra Vittorio Sgarbi - ci saranno anche le controverse opere di Tintoretto conservate nei Musei Civici agli Eremitani. Controverse perché secondo una linea di pensiero che io non condivido non appartengono a lui, ma a un qualche imitatore".

Gli altri edifici simbolo

Inevitabile, in questo viaggio tra i tesori padovani, la tappa alla Pontificia Basilica di S. Antonio di Padova, con le sue Cappelle del Tesoro e di San Giacomo, l'Altare Maggiore e l'Arca del Santo, e quella alla Chiesa degli Eremitani, con i meravigliosi affreschi di Guariento e il Martirio e trasporto di San Cristoforo di Mantegna.

"Spostandoci poi nel Cinquecento, unici in Italia gli affreschi del Battistero del Duomo, di Giusto de' Menabuoi, e il Candelabro, di Andrea Brioschi detto il Riccio.

Questa, insomma, è Padova, il luogo della modernità assoluta, del Rinascimento. Sei fossi padovano, io sarei orgoglioso di esserlo".

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Silvia Morara
Padova, 10 giugno 2016, Vittorio Sgarbi con il direttore di Panorama Giorgio Mulè

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Luciano Lombardi