Quattro opzioni militari contro Damasco
News

Quattro opzioni militari contro Damasco

Invasione, no-fly-zone, aiuti ai ribelli, raids aerei: ecco le ipotesi di attacco di Obama contro il regime siriano ma il dopo Assad resta un’incognita

Washington, Londra, Parigi, Ankara e i Paesi della Lega Araba non sembrano voler indugiare ancora per dare il via ad azioni militari contro il regime di Bashar Assad. La disponibilità di Damasco a far visitare agli esperti dell’Onu i sobborghi della capitale oggetto del supposto attacco chimico del 21 agosto è stata accolta con freddezza e bollata come "tardiva e non credibile" dagli Stati Uniti. Indiscrezioni della stampa britannica riferiscono che Londra e Washington vorrebbero iniziare raids aerei già nei prossimi giorni, un obiettivo condiviso da Parigi mentre il governo turco è pronto a far parte di ogni coalizione voglia abbattere Assad. Coaliziione che dovrebbe agire al di fuori di un mandato dell’Onu poiché il probabile veto russo bloccherebbe una risoluzione che autorizzi l’uso della forza. Ma quali sono le carte militari in mano agli alleati arabo-occidentali e quali le possibili risposte di Damasco e dei suoi alleati ?

– Più aiuti ai ribelli
L’opzione minima è costituita dall’incremento degli aiuti militari e dell’addestramento ai ribelli, del resto già in atto. Negli ultimi giorni sono entrati nel nord della Siria dalla Turchia 20 convogli con 400 tonnellate di armi fornite da sauditi ed emirati del Golfo mentre dalla Giordania sono entrati in azione nella Siria meridionale i primi reparti dell’Esercito Siriano Libero addestrati dai consiglieri militari statunitensi. Il rischio però è che questa opzione non risulti risolutiva, induca russi e iraniani ad aumentare gli aiuti militari al regime e finisca per rafforzare i gruppi qaedisti. Finora i Paesi europei hanno rinunciato ad armare i rivoltosi perché  le milizie più forti e combattive sono quelle jihadiste.

- Raids di rappresaglia
Un intervento militare limitato per punire il regime e ammonirlo dal non ricorrere più alle armi chimiche potrebbe venire scatenato con un minimo coinvolgimento di forze aeree e navali colpendo comandi militari e palazzi del governo. Quattro navi e sottomarini americani e un paio britannici sono già nel Mediterraneo pronti a lanciare missili da crociera Tomahawk. Raids aerei potrebbero venire lanciati dalle basi turche e giordane o da quelle britanniche a Cipro.  L’operazione comporterebbe rischi limitati  ma non avrebbe un’influenza diretta sulla guerra civile e potrebbe indurre Mosca a fornire a Damasco i moderni missili da difesa aerea S-300 già venduti ai siriani ma non ancora consegnati.

- No- Fly Zone
L’imposizione di una no-fly zone per impedire alle forze di Assad di usare aerei, elicotteri e missili (vettori delle armi chimiche) avrebbe costi ben più elevati e richiederebbe un impegno militare prolungato. Qualcosa di simile a quanto attuato dalla Nato in Libia nel 2011 ma contro un avversario ben più potente delle forze di Gheddafi.  Sostenuta da Francia e Turchia, l’imposizione di una no-fly zione richiederebbe la distruzione preventiva delle difese aeree e missilistiche siriane, cioè una campagna aerea della durata di alcune settimane. Un’opzione che provocherebbe dure reazioni da parte di Cina, Russia e Iran e potrebbe indurre Assad a lanciare le centinaia di missili balistici dei suoi arsenali contro i Paesi vicini. Come accadde in Libia la no-fly zone potrebbe venire affiancata da un blocco navale e rafforzata con incursioni aeree in appoggio all’avanzata dei ribelli siriani.
 

Invasione
Un’invasione della Siria la escludono tutti a Washington ed è evidente che Barack Obama difficilmente potrà impantanare in Siria le divisioni ritirate dall’Iraq o in procinto di lasciare l’Afghanistan. Non si può però escludere che un’invasione della Siria veda truppe turche e arabe affiancare i ribelli con gli occidentali impegnati a fornire il supporto aereo, d’intelligence, unità di forze speciali e team specializzati nella gestione e messa in sicurezza delle armi di distruzione di massa.
Il rischio però è che i “liberatori”, animati da interessi diversi, facciano a pezzi il Paese allargando la destabilizzazione e la guerra a tutta la regione, Il problema, più che militare, è politico. Far cadere Assad senza nessuna prospettiva per il futuro del Paese significa consegnare la Siria al caos e ad al-Qaeda.

I più letti

avatar-icon

Gianandrea Gaiani