Papa Francesco e il Mediterraneo
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Papa Francesco e il Mediterraneo

Chi avrebbe mai immaginato che le sorti dei Paesi che si affacciano sul Mare nostrum sarebbero state così presenti nell’agenda del pontefice argentino?

            Chi avrebbe mai immaginato che le sorti dei Paesi che si affacciano sul Mare nostrum sarebbero state così presenti nell’agenda del pontefice argentino? Non si tratta di una strategia studiata a tavolino:  Bergoglio in maniera naturale, quasi istintiva, si è trovato a poco a poco a farsi carico in maniera sempre più decisa e convinta dei drammi, delle sfide e delle povertà che segnano oggi il Mediterraneo.

            Ha iniziato con la visita a Lampedusa l’8 luglio 2013, la sua prima uscita fuori del Vaticano. In quella prima tappa nel Mediterraneo, Papa Francesco si è fatto carico del grave problema dell’immigrazione. La seconda simbolica tappa di Bergoglio nel Mediterraneo è stata il 7 settembre 2013, quando il pontefice ha organizzato in piazza san Pietro una lunga veglia di preghiera per la pace, per scongiurare l’intervento americano in Siria.

            La terza tappa del pontefice nel Mediterraneo è stata il Medio Oriente con il «pellegrinaggio» in Terra Santa sulle orme di Paolo VI, dal 24 al 26 maggio. Un viaggio breve ma intensissimo durante il quale il Papa e la Santa Sede non hanno di fatto modificato la loro posizione diplomatica che rimane quella di sempre: riconoscimento del diritto a due popoli e due stati (Israele e Palestina), difesa dei cristiani in Medio Oriente, condanna del terrorismo, richiesta di uno status speciale per la città di Gerusalemme. Ma se la posizione ufficiale resta immutata, quello che, secondo Papa Francesco, deve cambiare, è lo stile con il quale si affrontano i problemi. Un tratto contrassegnato dalla semplicità e dal rispetto, dall’apertura al dialogo senza preclusioni.

            Da questo stile e da questo atteggiamento convinto è scaturita, quasi spontaneamente, la storica proposta di Bergoglio di invitare a «casa sua», cioè in Vaticano, il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese, Abu Mazen, con la presenza del patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I. Il pontefice aveva ben presente i limiti di questa iniziativa. A cominciare anzitutto dagli interlocutori prescelti: Peres, giunto ormai a pochi giorni dal termine del suo mandato come presidente, e Abu Mazen alle prese con un governo di unità nazionale di Fatah e Hamas che ha fatto irritare gli israeliani ed è pieno di incognite per il futuro. Senza dimenticare che il dialogo tra Mazen e il premier israeliano Benjamin Netanyahu (vero «convitato di pietra» della preghiera in Vaticano) è interrotto: pesano i tremila nuovi insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est intesi come risposta all’ingresso di Hamas nel governo palestinese.

            «La Chiesa deve sorprendere e scompigliare» ha detto il pontefice il giorno di Pentecoste e così intende fare nel Mediterraneo. Il Papa assume il ruolo di protagonista: non è un caso infatti che la preghiera per la pace non si sia svolta in un luogo «neutro» come in passato era stata la città di Assisi negli incontri mondiali di preghiera per la pace, bensì in Vaticano. Oltre al tema spirituale, il pontefice pone sul tavolo altri due elementi decisivi: il valore della memoria e il ruolo delle Chiese cristiane d’Oriente. Nelle invocazioni per la pace, pronunciate nei giardini Vaticani dai rappresentanti delle tre religioni monoteiste, il tema della memoria è stato centrale. In particolare per i cristiani che hanno chiesto perdono per le persecuzioni e le violenze perpetrate in nome di Gesù ai danni di musulmani ed ebrei. Il pontefice ha voluto indicare così un ricorso «corretto» al bagaglio della memoria. Troppo spesso, secondo Bergoglio, la memoria rischia di essere una trappola che inchioda al passato e impedisce qualsiasi progresso; va invece utilizzata come un tesoro che, alla luce delle sofferenze e dei drammi subiti, aiuta a voltare pagina.

            Il secondo elemento molto importante è il coinvolgimento delle Chiese cristiane d’Oriente, messo in evidenza dalla presenza del patriarca Bartolomeo. Francesco mette in pratica l’intuizione di Giovanni Paolo II: la Chiesa «respira con due polmoni», l’Occidente e l’Oriente. Entrambi devono essere anima dell’iniziativa di pace. I nemici del dialogo non potranno più insinuarsi tra le divisioni dei cristiani. Anche questa può essere considerata una significativa novità introdotta da Bergoglio che sempre più viene visto addirittura come candidato naturale al premio Nobel per la pace.
 

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Ignazio Ingrao

Giornalista e vaticanista di Panorama, sono stato caporedattore dell’agenzia stampa Sir e diretto il bimestrale Coscienza. Sono conduttore e autore della trasmissione A Sua Immagine su RaiUno

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