Francesco in Messico, il dolce guerriero
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Francesco in Messico, il dolce guerriero

Ha condannato i narcos e la corruzione, ha rimproverato i vescovi e difeso gli indios. Ma ha pianto per il canto di una ragazza malata

«Francisco, el dulce guerriero», titolava così «Proceso», un noto settimanale di sinistra messicano, alla vigilia della visita del Papa. Per Bergoglio questo viaggio è stata una sfida. Anzitutto a conquistare il cuore dei messicani ancora molto affezionati a Giovanni Paolo II che per cinque volte è stato nel loro paese. Poi a misurarsi con il governo del presidente Enrique Pena Nieto talmente proiettato a rincorrere gli accordi commerciali con gli Stati Uniti da dimenticare il tasso di povertà e di disoccupazione interna, la violenza e soprattutto la corruzione. La terza sfida per Francesco è stata quella di misurarsi con una Chiesa che sembra fatta più di prìncipi che di pastori, incapace di fare i conti con un passato imbarazzante come lo scandalo del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel. Infine i tragici fatti di cronaca, come la rivolta nel penitenziario di Topo Chico, che ha causato 49 vittime alla vigilia dell'arrivo del pontefice, o i 43 studenti scomparsi, senza dimenticare la piaga dei femminicidi.
Il Papa ha scelto parole forti, messaggi chiari. Ma, com'è nel suo stile, ha voluto tenersi lontano dalla politica, ha cercato di non farsi strumentalizzare. Di fronte al presidente e alle autorità ha denunciato la ricerca della «via del privilegio o dei benefici per pochi a scapito del bene per tutti» che si trasforma «in un terreno fertile per la corruzione, il narcotraffico, l'esclusione delle culture diverse, la violenza e persino il traffico di persone».

"I vescovi non temano la trasparenza"
Ai vescovi ha chiesto di non aver «paura della trasparenza» e a non perdere «tempo ed energie nelle cose secondarie, nelle chiacchiere e negli intrighi, nei vani progetti di carriera, nei vuoti piani di egemonia, negli sterili club di interessi o di consorterie». Nell'immensa città dormitorio di Ecatepec, all'Angelus al termine della messa dinanzi a 300 mila persone ha lanciato l'appello a fare del Messico «una terra di opportunità, dove non ci sia bisogno di emigrare per sognare; dove non ci sia bisogno di essere sfruttato per lavorare; dove non ci sia bisogno di fare della disperazione e della povertà di molti l’opportunismo di pochi. Una terra che non debba piangere uomini e donne, giovani e bambini che finiscono distrutti nelle mani dei trafficanti della morte». Nel pomeriggio, visitando l'ospedale pediatrico si è commosso ascoltando l'Ave Maria cantata da una ragazza ammalata di cancro.
L'indomani, nel Chiapas, ha difeso i diritti degli indios e ha chiesto loro «perdono» perché «molte volte, in modo sistematico e strutturale, i vostri popoli sono stati incompresi ed esclusi dalla società. Alcuni hanno considerato inferiori i loro valori, la loro cultura, le loro tradizioni. Altri, ammaliati dal potere, dal denaro e dalle leggi del mercato, lo hanno spogliati delle loro terre o hanno realizzato opere che le inquinavano. Che tristezza! Quanto farebbe bene a tutti noi fare un esame di coscienza e imparare a dire: perdono fratelli! Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi!». Nel pomeriggio, invece, ha difeso i diritti delle famiglie dalle forme di «colonizzazione ideologica». Ha visitato la tomba del vescovo Samuel Ruiz, difensore dei diritti degli indigeni ed esponente della teologia della liberazione, ma non lo ha mai citato nei suoi discorsi.

I diritti degli indios
Diverso il caso di Tata (padre) Vasco Vásquez de Quiroga, il missionario spagnolo che convertì gli indios del Michoacan che invece Francesco ha citato più volte nel corso della visita nella splendida città di Morelia strangolata dal narcotraffico. Rivolgendosi ai giovani nello stadio ha detto: «La principale minaccia è quando uno sente che i soldi gli servono per comprare tutto, compreso l’affetto degli altri». Invece ciò che vale veramente è «l’esperienza di poter guardare il mondo in faccia, a testa alta! Senza la macchina, senza i soldi, ma a testa alta! La dignità!» All'uscita dallo stadio, gremito, un piccolo fuori programma che ha fatto il giro del mondo. Un giovane strattona Bergoglio per salutarlo, fin quasi a farlo cadere su un disabile in carrozzella. Il Papa si arrabbia: «Non essere egoista! Non essere egoista!», grida. Ma poi prosegue i saluti normalmente, sorridente come sempre.

I giovani “ridotti a carne da macello”
L'ultimo giorno è il più intenso: a Ciudad Juarez, confine nord con gli Stati Uniti, la città più pericolosa al mondo, 4.500 donne scomparse dal 1993 a oggi. Con un solo gesto il Papa sfida le politiche migratorie degli Usa e mette in crisi i candidati repubblicani alla presidenza: benedice una croce posta sul Rio Grande, al confine con il Texas e depone una corona di fiori in memoria di tutti i migranti uccisi. Poi, nel corso della Messa, celebrata a 80 metri dal confine e visibile anche negli Usa con i maxi schermi, difende i giovani ridotti a «carne da macello, perseguitati e minacciati quando tentato di uscire dalla spirale della violenza e dall'inferno delle droghe. E che dire di tante donne alle quali è stata tolta ingiustamente la vita?». Il Papa parla inoltre dei migranti che a Ciudad Juarez, a migliaia rischiano la vita per cercare di raggiungere gli Usa, e denuncia le «terribili ingiustizie» a cui vengono sottoposti: sono «schiavizzati, sequestrati, soggetti ad estorsione, oggetto di commercio del transito umano, della tratta di persone».
Tuttavia il pontefice si rifiuta di incontrare i parenti dei 43 studenti di Iguala scomparsi nel nulla. Li invita alla Messa ma non parla con loro. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi spiega che i parenti delle vittime di violenza sono tanti e il Papa si rivolge a tutti nel corso della celebrazione. Un modo per uscire dell'empasse. Il timore, forse, è che la vicenda sia stata troppo strumentalizzata dall'opposizione al Governo messicano. Ma ora rischia di essere dimenticata.

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Ansa
Ciudad Juarez, Mexico, l'incontro di Bergoglio con i detenuti del carcere Cerezo 3, 17 febbraio 2016

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Ignazio Ingrao

Giornalista e vaticanista di Panorama, sono stato caporedattore dell’agenzia stampa Sir e diretto il bimestrale Coscienza. Sono conduttore e autore della trasmissione A Sua Immagine su RaiUno

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