Domenici
ANSA/CARLO FERRARO
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Strapotere ai giudici? "Cari ex compagni è colpa nostra"

Parla Leonardo Domenici, ex sindaco di Firenze che, mai indagato, finì sulla graticola della magistratura. Il commento di Emanuele Macaluso

Maglietta gialla della Boxe Robur Scandicci, il saggio Teoria generale della politica di Norberto Bobbio sul tavolo di cucina. Leonardo Domenici, tra i 45 fondatori del Partito democratico, sindaco di Firenze dal 1999 al 2009 ed europarlamentare nella scorsa legislatura, è pronto a mettersi i guantoni.

Gli avversari sono tanti: dallo stesso Pd al sistema giudiziario. Il 6 maggio la Cassazione - sulle presunte corruzioni nella trasformazione urbanistica dell'area di Castello - ha stabilito che il fatto non sussiste. Tra gli imputati, Graziano Cioni, assessore-sceriffo della giunta Domenici. Nel 2008 Cioni era candidato sindaco, ma il Pd dopo l'avviso di garanzia lo obbligò a ritirarsi dalle primarie poi vinte da Matteo Renzi. All'attuale premier, insomma, le indagini tolsero di mezzo un po' di concorrenza.

Il processo è durato otto anni, durante i quali sono successe molte cose. Tanto per cominciare è cambiata la vita di Domenici. "Non sono più parlamentare europeo e non sono più nel Pd. Oggi rappresento a Bruxelles l'Anci, i Comuni italiani, e mi occupo di rifugiati e richiedenti asilo: ringrazio Piero Fassino per la fiducia accordatami": così dice Domenici, che dopo l'avvio dell'inchiesta si incatenò per protesta davanti alla sede dell'Espresso.

Lo ha ricordato Renzi alla direzione Pd del 9 maggio: l'assoluzione di Cioni e compagni "non va oltre un trafiletto, mentre i titoli sulle indagini avevano aperto i tg nazionali e un sindaco si era pure incatenato per contestarle". "La mia fu una protesta clamorosa" dice Domenici. "Ma non contro i magistrati: era contro il modo in cui l'inchiesta veniva trattata da alcuni mezzi di comunicazione, in particolare Repubblica e l'Espresso, che mi coinvolsero anche se non sono mai stato indagato".

Domenici attraverso alcune intercettazioni venne sottoposto a una gogna mediatica. "Prendo atto di quello che oggi dice Renzi. Però quando depose al processo da sindaco ebbe un approccio un po' diverso. Definì "contra legem" la convenzione tra il Comune di Firenze e Fondiaria-Sai per la trasformazione dell'area Castello. Ma i tempi cambiano, quindi capisco e apprezzo". Vuol forse dire che Renzi fu un po' opportunista e non un genuino garantista? Il problema è più ampio, sostiene Domenici: "Nel Pd e in tutta la sinistra manca una riflessione critica sul rapporto con la magistratura. E ce ne sarebbe bisogno, perché sono stati commessi molti errori. La sinistra con certi comportamenti ha contribuito all'esondazione del potere giudiziario dai suoi argini costituzionali e materiali. Soprattutto per quanto riguarda la magistratura inquirente".

Perché è accaduto? "Magari era comodo dal punto di vista politico; ci si voleva tenere buoni i magistrati; si pensava che le inchieste avrebbero tolto di mezzo gli avversari. Frasi spesso ripetute durante le inchieste, come "noi abbiamo piena fiducia nella magistratura", hanno un senso in via di principio per ribadire il rispetto dell'indipendenza della magistratura, ma io penso che pubblico ministero e giudice non siano sottratti al dibattito sul loro operato".

Il Pd dunque ha responsabilità sul tema politica e giustizia? "La politica è talmente screditata che se fai un discorso sulla magistratura appare solo un'autodifesa e non una proposta per cambiare le cose. Però il problema della crisi del sistema giudiziario esiste: la durata dei processi, il fatto che il pm spesso va un po' oltrei limiti, il rapporto con i mezzi di comunicazione. Politicae sistema giudiziario stanno affondando insieme. E questo è triste. Silvio Berlusconi ha sempre detto che ci sono le toghe rosse e quindi la sinistra influenzava le toghe rosse. Io penso che questo sia sbagliato: ci sono stati molti magistrati che hanno deciso di fare politica a sinistra,e che hanno influenzato la politica della sinistra sul sistema giudiziario. Il fatto che molto spesso nei partiti di sinistra il responsabile che si occupava dei problemi della giustizia venisse dalla magistratura è già un fatto sintomatico".

Torniamo a Castello. Secondo Domenici qualcuno nel Pd beneficiò di quell'inchiesta? "Credo che Renzi non avesse un obiettivo specifico, ma la sua furia rottamatrice richiedeva di cancellare ciò che c'era stato in precedenza. Non credo però, né voglio credere, che ci fosse un fatto personale nei miei confronti. Faceva parte di un episodio di lotta politica. Nel Pd ci sono post-comunisti ed ex Ds che si sono comportanti assai peggio del più ultrà tra i sostenitori di Renzi".

A chi si riferisce? "A Enrico Rossi, per esempio. È una persona nei confronti della quale ho perso qualsiasi stima. Ha avuto un comportamento molto opportunista. Nel 2014 ho chiesto ad alcune persone di darmi una mano per essere rieletto parlamentare europeo. Ci sono state persone che mi avevano garantito il loro appoggio, comportandosi poi in maniera opposta: il primo fu Rossi. Da lui non me lo sarei aspettato. Se quell'inchiesta fosse avvenuta nel periodo staliniano, qualcuno avrebbe cancellato la mia immagine da tutte le foto ufficiali. Il clima era questo".

Dopo la sentenza si è parlato di riabilitazione. "L'uso di questa parola designa un'inquietante ascendenza stalinista. Non vorrei che a qualcuno venisse in mente di mandarmi in qualche campo di rieducazione. Anche se io non faccio più politica attiva".

Domenici da un paio d'anni ha lasciato il Pd, ma le sue perplessità e il distacco dal partito sono cominciati prima dell'arrivo di Renzi al vertice. "Renzi non è la causa di questa politica, ma una sua espressione. Renzi è l'espressione di una politica molto più debole di quello che si pensi, una politica che pretende di darsi un fondamento da sola. Come dice Norberto Bobbio, "se il fine della politica fosse davvero il potere per il potere, la politica non servirebbe a nulla". Io temo che la politica stia diventando questo, se non lo è già diventato. Forse tutto è cominciato quando si è preso a considerare gli elettori come un mercato dei voti".

E senza l'inchiesta su Castello che cosa sarebbe successo? "Per me sarebbe cambiato molto. Credo di avere pagato anche alcune mie posizioni verso l'esorbitanza dei pm. La magistratura è una cosa molto diversa al suo interno, però spesso reagisce come una corporazione. Sul piano politico, una persona con le qualità di Renzi, lo dico senza ironia, sarebbe emersa comunque. Certo, si è cinicamente approfittato di quella cosa per fare un po' di piazza pulita".

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Riceviamo e pubblichiamo un commento al nostro articolo, a firma di Emanuele Macaluso

IL "CASO DOMENICI" TRA GIUSTIZIALISMO E GARANTISMO
Leonardo Domenici è stato uno dei più autorevoli esponenti del Pci e poi Pds, Ds, Pd. È stato segretario della federazione di Firenze, parlamentare nazionale e poi europeo, sindaco di quella città. Ho letto una sua intervista a Panorama e ho appreso che non è più nel Pd, non è più parlamentare ma lavora a Bruxelles per conto dell’Anci. Domenici è stato politicamente penalizzato dato che era sindaco di Firenze quando il Comune stipulò una convenzione con la Fondiaria-Sai per trasformare l’area Castello.

Il suo assessore, Graziano Cioni, ed altri furono imputati perché quella convenzione fu considerata un abuso e un favore fatto alla stessa Fondiaria. Ma dopo sette anni di processi e di infamie Cioni e gli altri sono stati assolti dalla Cassazione con formula piena. Un caso giudiziario.

Domenici, nell’intervista, rievoca quegli anni quando si incatenò davanti alla sede de L’Espresso per protestare contro quel settimanale e La Repubblica che lo coinvolsero nella vicenda giudiziaria anche se non era mai stato indagato. E ricorda anche che Renzi, oggi critico nei confronti di questi atti della magistratura, “quando depose al processo definì contra legem la convenzione del Comune con la Fondiaria Sai”. Cioè avrebbe avallato l’inchiesta dei pm. Domenici aggiunge che quella iniziativa giudiziaria diede argomenti per attuare la “rottamazione” di una generazione. Nell’intervista, inoltre, si ricorda che Cioni era un candidato a sindaco in concorrenza con Renzi.

Domenici coglie questa occasione per esprimere alcuni giudizi sulla giustizia in Italia. E dice: “Nel Pd e in tutta la sinistra manca una riflessione critica sul rapporto con la magistratura. E ce ne sarebbe bisogno, perché sono stati commessi molti errori. La sinistra con certi comportamenti ha contribuito all’esondazione del potere giudiziario dai suoi argini costituzionali e materiali. Soprattutto per quanto riguarda la magistratura inquirente”. L’intervistatore chiede: ma perché è accaduto? Domenici risponde: “Magari era comodo dal punto di vista politico, ci si voleva tenere buoni i magistrati; si pensava che le inchieste avrebbero tolto di mezzo gli avversari”.

Tutto vero. Ma quando nel 1997 D’Alema e Veltroni candidarono Di Pietro al Mugello tutto il vecchio gruppo dirigente ( Pci, Pds, Ds), tra cui anche Domenici, accolse con entusiasmo quella candidatura e la sostenne con grande calore. Ma proprio quella candidatura rappresentava ciò che poi è avvenuto secondo la descrizione di Domenici. Cioè, “si volevano tenere buoni i magistrati”.

La cosa impressionante è che il cammino fatto dal giustizialismo al garantismo del vecchio gruppo dirigente lo ha percorso anche Renzi con i suoi rottamatori: con i pm e il giustizialismo prima, con il garantismo dopo quando si sono verificati fatti giudiziari sgradevoli e sgraditi. Questo alternarsi è il risultato di un deficit di cultura politica e giudiziaria: se non prevale una rigorosa concezione dello stato di diritto e, quindi, del ruolo autonomo della politica e della magistratura non si uscirà mai da questa contraddizione.
(23 maggio 2016)

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David Allegranti