Fitto, il centrocampista del Pdl
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Fitto, il centrocampista del Pdl

Quanto sta accadendo nel centrodestra ha molti legami con il calcio. E le partite, si sa, finiscono al 90°

Con il suo stile vellutato da ex cavallino di razza dc, ma anche il tono netto del capo dei lealisti «convitamente berlusconiani», anche venerdì sera 25 ottobre, serata conclusasi a Palazzo Grazioli con un brindisi a Forza Italia, agli intimi ha ribadito: «Il mio obiettivo era rimettere in mano il boccino a Silvio Berlusconi e azzerare quindi le cariche. Io per me ora non voglio niente». Insomma, missione compiuta.

Ma Raffaele Fitto, ormai vissuto nell’immaginario come l’anti-Alfano, nella vita privata ha una passione da non sottovalutare: il calcio. Ruolo: centrocampista. Passione che ormai non riesce a soddisfare quasi più. È lui il «centrocampista», che ha coniato il nome «lealisti», di cui l’anima morale è Sandro Bondi, che ha di fatto dato l’assist del goal finale al Cavaliere nella partita contro gli «scissionisti», governativi. Centrocampista era quel Giancarlo De Sisti che dette assist per goal spiazzanti a Gigi Riva - Rombo di tuono a Mexico '70, coppa Rimet. E centrocampista, ma anche mezz’ala, era il golden boy: Gianni Rivera. Che andò in goal, con quella artistica finta di Italia-Germania, sempre a Mexico '70, forse la più bella partita della storia, facendo a pochi minuti dalla fine trionfare gli azzurri. E dire che il «Mister» lo schiodò dalla panchina solo a 6 minuti dalla fine. La staffetta era stata sempre a favore di Mazzola. 

Se la storia del calcio può essere usata come metafora per la partita Forza Italia contro governativi di quel che resta del Pdl, si potrebbe dire che nella staffetta Gianni Rivera (Fitto)- Sandro Mazzola (Angelino Alfano), Berlusconi (Ferruccio Valcareggi l’allenatore di Mexico '70) ha fatto bene a far scendere in campo Fitto-Rivera. O comunque ad avallare la sua azione di spinta a capo dei 100 lealisti.

Il tema che torna all’ordine del giorno sui giornali è la possibile discesa in campo di Marina Berlusconi. Ma la presidente Fininvest e Mondadori ha sempre seccamente smentito.  E il centrocampista Fitto, convintamente berlusconiano ma non uno dei Berlusconi, ora è difficile che torni in panchina. Non si sa per lui quali ruolo ci sarà. Come ha detto Berlusconi: io sono il presidente con deleghe in bianco, ci saranno tanti giovani, imprenditori e facce nuove. Ma difficile ora pensare che Fitto non ci sarà tra coloro che affiancheranno il Cav. Lui, con atteggiamento da «abatino», ma insidioso, (era il soprannome dato da Gianni Brera a Rivera) ha smentito e smentirà con sincerità  che non è sceso in campo per una poltrona. Ma per riaffermare il primato del berlusconismo: bipolarismo, abbassamento pressione fiscale, riforma della giustizia, crescita. 

E che ora gli alfaniani lo temano, al di là del ruolo che avrà, sono le malignità messe in circolo già su di lui. In Transatlantico girano veleni del tipo: «Può fare quello che crede Raffaele ma lui era e resterà un leader regionale. Sì, trova seicento firme contro di noi, ma solo dalla Puglia». Una volta alcuni alfaniani lo sfotterono sui divani del Transatlantico di dicendogli che il suo attuale successore come ministro alla Coesione territoriale il dalemiano Trigilia è meglio di lui». Fitto, non fece un piega, con fair play si alzò e si limitò a lanciare un’occhiata annoiata agli splendidi legni intarsiati del Transatlantico. Garbato, ma secco no comment con i cronisti che tentavano di sfrucugliarlo.

Fitto in genere è sempre di poche parole. Che vanno decriptate. Ma che parlano sempre il linguaggio della politica. Quanto a leader regionale, oltre che governatore della Puglia a 31 anni e ministro, è stato anche europarlamentare nel periodo del passaggio all’euro. Hanno messo in giro la chiacchiera che lui ce l’abbia per fatto personale con Alfano. Ma gli alfaniani ora con quella ha il sapore di una «disinformatia», di cui i comunisti erano maestri, mostrano di avercela anche loro con lui per fatto personale. E soprattutto politico. Ma intanto la sfida della staffetta al momento l’ha vinta lui.

E questo per evidente volontà del «Mister» Berlusconi, che a differenza di Valcareggi, dopo aver battuto la Germania, non vuole essere mandato a casa dal Brasile, la partita conclusiva della coppa Rimet, che nella contesa Forza Italia con quel che resta del Pdl è paragonabile al Consiglio nazionale dell’otto dicembre. Alfano si presenta forte in due o tre regioni, Berlusconi e i lealisti nel resto. E quel giorno il Cav non vorrà certo perdere l’altra partita a distanza con Matteo Renzi, che verrà probabilmente incoronato alle primarie pd. Come lui, il Cav sostenuto dai lealisti vuole il bipolarismo, Alfano è sospettato di prestarsi a un gioco, volente o nolente, che ipotizza un nuova Dc, con pezzi di Pdl e centrini vari alleati con pezzi di Pd. Un disegno che prevede il taglio delle ali: da un lato l’estrema sinistra, dall’altra il berlusconismo e quindi Forza Italia.

Nel Pd chi coltivava e coltiva ancora questo disegno e negli ambienti dei cosiddetti poteri forti, politici e non, desiderosi di liberarsi di Berlusconi, utilizzando Alfano, ormai però sembrano essersi stufati dei traccheggiamenti dell’ex delfino. E in politica restare a metà nel guado troppo a lungo non è mai una carta vincente. Si rischia di tornare in panchina, magari anche in una nuova formazione comandata da Comunione e e liberazione. E questo sicuramente una persona avveduta come Alfano lo sa.

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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