Alfano-Berlusconi, trattativa ad oltranza
ANSA/ MAURIZIO BRAMBATTI
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Alfano-Berlusconi, trattativa ad oltranza

Riunioni continue ieri ed anche oggi per cercare di evitare la scissione nel Pdl (ma sarà dura)

È corrosivo, ma non è neppure questo metodo Boffo, il ritratto di Angelino Alfano su «Il Foglio» a firma di Salvatore Merlo. E cioè che Angelino Alfano, assistente di Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli, ogni volta si sentiva in dovere di cedere il suo posto a tavola accanto al Cav all’ospite più importante di turno.

Raffaele Fitto, capo dei lealisti Pdl, molto probabilmente non lo avrebbe mai fatto. E non solo perché viene da una storia simmetrica e dissimile, per entrambi made in Dc, rispetto a quella del vicepremier (Panorama in edicola). Una storia che lo ha visto farsi da solo e camminare da solo sulle sue gambe, certamente anche perché aiutato all’inizio dall’essere figlio di Salvatore Fitto, il potente e carimastico presidente dc della Regione Puglia, morto a soli 47 anni in un incidente stradale. Ed eletto a 44. Anche lui come il figlio, «Don Totò» allora era il più giovane «governatore» d’Italia. Ma, «Raffaele» non lo avrebbe fatto soprattutto per il censo sociale al quale appartiene: una famiglia altoborghese latifondista.

Insomma, quella che una volta si sarebbe chiamata «razza padrona». Seppur illuminata nella Puglia di Fitto e dei Fitto dalla alta lezione morale e politica di Peppino Di Vittorio (il fondatore della Cgil) che con metodi riformisti insegnò ai latifondisti a rispettare «i cafoni», anzi insegnò loro che la parola «cafoni» doveva essere proprio messa al bando: «Non vado con il cappello in mano», era il celebre motto di Di Vittorio. Paradossalmente simmetrico a quello dei latifondisti, suoi avversari, rispetto al potere di Roma. 

Sono le ultime ore per evitare la scissione del Pdl, prima del consiglio nazionale di domani sabato 16 novembre. E la disfida più che tra Alfano e Fitto è tra un ipotetico centrodestra, ipotetico perché non si capisce bene su quali radici politiche e programmatiche nascerebbe, vista la storia della destra italiana, e il berlusconismo.

Alfano è uscito dalla riunione dei governativi ieri notte avvertendo: «I falchi vogliono una crisi al buio». Mentre Fitto era a cena da Berlusconi a Palazzo Grazioli. Ma uno dei cosiddetti governativi, pochi minuti prima, confidava, sotto rigoroso anonimato, a Panorama.it le reali condizioni di Alfano a Berlusconi: anche se decadrai da senatore, il governo deve andare avanti e noi ti promettiamo di fare una grande battaglia sulla giustizia e sulla ignominia della decadenza (a decadenza però già avvenuta ndr), infine, gestione unitaria del partito. Che tradotto dal politichese significa, secondo l’anonimo governativo: «Cinquanta per cento delle candidature per Alfano e altrettante per Berlusconi in vista delle prosime elezioni europee, sennò faremo gruppi autonomi. A meno che Berlusconi non trovi uno dei suoi colpi di genio e il consiglio nazionale di sabato 15 non finisca con un: “E Forza Italia…Siamo nati per vincere».

Ma è altamente difficile, se non impossibile che questo possa accadere.

Il Cavaliere, lo statista, per tre volte presidente del Consiglio, l’uomo che ha presieduto un G7 e un G8 e che per vent’anni ha impedito a una sinistra mai diventata socialista o socialdemocratica (forse Di Vittorio avrebbe ancora qualche lezione da darle) di vincere (è accaduto solo due volte e mai è riuscita a terminare la legislatura), deciderà alla fine lui e solo lui, come avrebbe promesso ieri notte. E come del resto è sempre stato. Berlusconi «vivrebbe la perdita di Angelino come un lutto personale, perché lui in quel ragazzo credeva sul serio», assicura un lealista. Che aggiunge: «Le condizioni di Alfano sono irricevibili. Mai il Presidente non vuole più rivivere le orribili immagini di Gianfranco Fini che gli punta l’indice contro con quel: “Che fai mi cacci?”. Sta facendo davvero di tutto per tenere Angelino dentro, oltre ogni limite e non è tattica per poter dire se divorzio sarà: sei stato tu Alfano a divorziare. Ma è il suo vero e sincero dolore umano, di un uomo provato, colpito con metodi che in nessun paese occidentale si sarebbero mai usati, a lavorare, e lo farà fino in fondo, per tenere unito il partito»

È talmente vero, che per Berlusconi si è usato un metodo senza uguali che lo riconosce perfino il professor Giorgio Rebuffa, uno degli intellettuali di punta con Lucio Colletti, della prima Forza Italia nel ’94. Ammette Rebuffa, in una conversazione informale con Panorama.it, lo stesso Rebuffa che con il Cav, litigò, seppur con eleganza: «Ho avuto un dissenso profondo con lui fino ad uscire da Forza Italia. Ma non ammetto i metodi con i quali lo stanno cacciando dalla scena politica, addirittura con il voto palese sulla decadenza! E qui veramente mi interrogo sul  comportamento del presidente del Senato Pietro Grasso». Osserva, lo storico e filosofo di Fi prima maniera: «Sbagliano perché non hanno capito che comunque andranno le cose per Berlusconi, il berlusconismo è un fenomeno che resterà. Io però glielo dico in privato, magari sentiamoci domani per un’intervista, ci devo riflettere…».

Non abbiamo rispettato la promessa e Rebuffa ci scuserà. Ma è realmente accaduto pochi giorni fa alla Fondazione Craxi, mentre Stefania Craxi bacchettava Achille Occhetto, che si ascriveva il merito di aver fatto entrare il Pds nel socialismo europeo (sic!). Fu Craxi, come la storia certifica, a far entrare gli ex comunisti nell’Internazionale socialista e di conseguenza nel Pse, dove ora paradossalmente il Pd non sta più, ma sta Gianni De Michelis. L’occasione era la presentazione del libro di Claudio Martelli «Ricordati di vivere» (Bompiani editore), che ha raccontato una delle ragioni dei suoi tanti e ultimi litigi con il leader del Garofano ed ex premier socialista: «A Betti’ qui i comunisti non ci sono più…inutile che li combatti». Anche qui Stefania ha controbattuto. E Rebuffa ha sbuffato e allargato più volte le braccia. Strano destino quello del Cav: difeso, in queste drammatiche ore, proprio da chi gli si è rivoltato contro e non avrebbe mai ceduto, come anche il professor Rebuffa, il posto a tavola, accanto al leader, all’ospite più importante di turno.

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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