Italicum verso il sì
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Italicum verso il sì

Nonostante l'assalto di grillini e franchi tiratori pd il nuovo impianto elettorale voluto da Renzi e Berlusconi è in dirittura d'arrivo. Mercoledì il voto finale

L’Italicum, dopo una maratona piena di suspance, è in dirittura d'arrivo. Matteo Renzi ha detto ai suoi a tarda sera: "Non mi voglio presentare domattina al Consiglio dei Ministri che deciderà provvedimenti choc per l'economia senza la riforma elettorale approvata da almeno un ramo del parlamento". L'obiettivo del nuovo meccanismo di voto è bipolarizzare sempre più il sistema e diminuire il potere di ricatto dei piccoli partiti, con una soglia di sbarramento del 37 per cento e un premio di maggioranza del 15 per cento.  

Nonostante l'assalto del corpaccione bersaniano e antirenziano del Pd che ha agito di sponda con “centrini” vari, il treno della riforma elettorale, valida solo per la Camera, dovrebbe quindi arrivare in porto  grazie alla tenuta dell'asse tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Fino alla fine l’Italicum ha rischiato però di deragliare a causa dell’ultima insidiosa mina posta dall’emendamento di GregorioGitti, deputato dei “Popolari per l’Italia”, nonché genero di Giovanni Bazoli, dominus di Banca Intesa, non esattamente un amico del premier e del Cav.

Solo per 20 voti la riforma si è salvata, resistendo anche all'assalto compatto delle truppe di Grillo. L’emendamento Gitti ha tentato di far rientrare dalla finestra la parità di genere uscita dalla porta ieri sera. Prevedeva di introdurre due preferenze, un uomo e una donna, scardinando così il listino bloccato di 5-6 candidati previsto dalla riforma e facendo così saltare l’Italicum. Che si è retto anche sulla  completa presenza  del governo alla Camera. Sui banchi tutti, dai ministri ai sottosegretari, assente solo Dario Franceschini, ancora malato.  “In cento nel Pd hanno votato a favore dell’emendamento Gitti. È sempre la carica dei “101”, questa volta bersaniana”, così riassume perfidamente, sotto anonimato, un deputato pd che dimentica di dire o non sa che, alla truppa storica degli antirenziani coagulati attorno all'ex segretario Pd, si sarebbe aggiunta nel voto finale anche  una variegata pattuglia di neorenziani pentiti, tra cui - secondo i boatos - Roberto Giacchetti e Paolo Gentiloni. O lo stesso lettiano Francesco Boccia. Lo stesso Pier Luigi Bersani ha definito quella di "Matteo" "una movida con rischi". Posizioni tranchant dalle quali però si distinguono i pochi dalemiani doc rimasti su piazza e che sotto anonimato confessano: "L'ex segretario si deve rassenare, lui ha perso già un anno fa". Ma il grosso dei deputati è di nomina bersaniana.

 Rosi Bindi, pasionaria antirenziana, per protesta abbandona l’aula dopo la bocciatura dell’emendamento. Attacca il giovane capogruppo pd, Roberto Speranza accusandolo di aver gestito male, anzi di aver preso una posizione in sostanza pilatesca  sulla questione della parità di genere. Ieri sera del resto erano contro Renzi gli interventi in aula di Guglielmo Epifani e Nico Stumpo per la parità di genere.  Il Pd è una pentola di rancori e veleni. Nel tritacarne finisce anche il capogruppo,  che proprio Bersani un anno fa aveva voluto, e che ora nei conversari privati di Montecitorio viene accusato di tradimento.

Del resto la mattinata in casa dem era proprio iniziata male. Ma Renzi all’assemblea dei deputati era andato avanti spedito come un treno. “Non mi interrompere! Prima parlo io, poi tu”, ha detto risoluto il premier all’ex presidente del Pd, con la quale la ruggine è antica. Renzi ha spiegato che si impegnerà al Senato a portare miglioramenti sulla parità elettorale tra uomo e donna, ma che il treno delle riforme deve marciare. Narrano che Bindi si sia azzitta. Ma poi in Transatlantico e in aula ha ripreso la battaglia che ora annuncia si sposterà al Senato. Qui già Anna Finocchiaro, presidente pd della commissione Affari costituzionali, aveva annunciato che avrebbe fatto battaglia per introdurre le preferenze, salvo poi smussare, dopo i diktat del suo segretario, ovvero quel Renzi che la minoranza pd continua a trattare come una sorta di intruso. Sulle preferenze, come stabilite da un emendamento di Ignazio La Russa (Fratelli D’Italia) poi bocciato, oltre al solito centinaio di voti del corpaccione bersaniano del Pd ci sarebbero stati anche una ventina di voti favorevoli da parte di Forza Italia, che però a differenza del Pd ha tenuto su tutta la linea. Ora la partita si sposta al Senato e lì dove i numeri sono più risicati (Renzi viaggia sul filo di 8 voti in più) l’asse con Fi sarà ancora più determinante che alla Camera. Ma c’è sempre da stare attenti a possibili imboscate dei Cinquestelle. E, per di più, non è previsto il voto segreto.

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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