Fiducia al governo delle strettissime intese
ANSA/CLAUDIO ONORATI
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Fiducia al governo delle strettissime intese

È stato un discorso della melassa, quello che ha tenuto Letta, incassando la fiducia del parlamento. Ma, nonostante i toni, gli ostacoli sul suo cammino rimangono molti

 

Il voto di fiducia della Camera e del Senato conferma, come era del resto già certo, il governo Letta-Alfano. Ma, il passaggio in Parlamento, imposto da Giorgio Napolitano, in seguito alla forte richiesta di Forza Italia, certifica ufficialmente la fine delle larghe intese.  E dà inizio alle  strette intese. Con un po' di colore e il voto favorevole del leghista Michelino Davico, ex collaboratore di Maroni al quale Calderoli urla in Senato: "È nata la fondazione dei trenta denari!". Ma - colore a parte - fino a quando dureranno le strette intese?  Il premier, preso a tenaglia tra  il fortissimo competitor interno Matteo Renzi, ovvero il detentore della golden share dell’esecutivo, la durissima opposizione berlusconiana e gli assalti grillini, reagisce con un discorso da vecchia dc. Lungo, grigio, noioso, che trattiene per poco lo sbadiglio anche dei partner delle strette intese. E mette in evidenza il nervosismo, seppur trattenuto, degli alfaniani che ora si sentono come intrappolati. Poco prima della replica di Letta alla Camera verso le 13, è curiosamente  un deputato democrat a ricordare a Angelino Alfano di andarsi a sedere “accanto a Enrico”. Gli dice: “Guarda Angelino, che il momento prima della votazione è un momento solenne...”. Lui, che questo ovviamente lo sa già,  alza gli occhi al cielo. E va a sedersi accanto a Letta. Al Senato,  il vicepremier e ministro dell’Interno, seduto accanto a Letta,  non sta un attimo fermo. Prima la faccia tra le mani, poi una mano sotto il mento, poi la stringe a pugno. E via di seguito. Batte le mani silenziosamente  quando Letta ricorda di aver eliminato il doppio stipendio dei ministri-parlamentari. “Speriamo che il governo duri almeno un altro annetto, sennò noi che fine facciamo?”, confida uno dei deputati alfaniani.

 Il premier reagisce alla tenaglia delle strette intese chiedendo un patto di legislatura per il 2014. Silvio Berlusconi lo ricorda solo per la vicenda giudiziaria, nella quale si vanta di non essere mai entrato. “Fumo fritto il suo discorso”, così  liquida Letta la portavoce di Berlusconi, Deborah Bergamini. Il premier delle strette intese attacca i populismi europei. Quanto alla sua agenda a un certo punto ricorda che bisogna abbassare le tasse per le famiglie e le piccole e medie imprese. Tasse che però sono state appena aumentate con la legge di Stabilità. Poi, le riforme: dall’eliminazione del Bicameralismo perfetto alla riduzione del numero dei parlamentari e naturalmente la riforma del finanziamento pubblico ai partiti da fare subito. Le Province?Bisogna eliminare questa parola dalla Costituzione” . E poi? “Riprendere il disegno di legge”.  Il tutto con un tono piatto che si eleva solo per respingere gli attacchi frequenti dei grillini alla Camera. Buona parte della replica a Montecitorio Letta la fa  difendedosi e quindi attaccando i Cinquestelle.

Umberto Bossi, il cui fiuto politico è stato elogiato anche dal neosegretario federale della Lega Matteo Salvini, sbotta: “Questo Letta da vero democristiano, piglia colpi ma sa anche come difendersi”.  Ma fino a quando la melassa dc di Letta potrà essere tollerata dal neosegretario del Pd Renzi, chiamato a rispondere a quei tre milioni di italiani che lo hanno incoronato alle primarie in nome del rinnovamento? Renzi è ovvio che rischia di restare intrappolato in quella che una volta la Lega di Bossi chiamava “la palude romana”. Ipotesi che condivide anche il nuovo leader del Carroccio Matteo Salvini. Che a Panorama.it annuncia l'opposizione durissima della Lega: "Il rischio è che questi durino ancora un po' ma noi della Lega usciremo dalla trincea con l'elmetto e con lo schioppo". 

Ma i renziani avvertono che non c'è il rischio della palude. Innanzitutto perché “ora Matteo farà subito spostare la riforma della legge elettorale dal Senato alla Camera, dove il Pd è schiacciante maggioranza; poi, chi metterà il freno al Senato, metterà anche le sue impronte digitali sul fallimento della riforma”. Confida un alfaniano: “Renzi vorrà subito approvare la riforma per agitarla poi come una clava su Letta al quale dirà o si fa come dico io o qui già ci sono le condizioni per andare a votare”. Ma chissà se sarà possibile tenere unito anche tutto il Pd sulla riforma. Il Pd che comunque, ad eccezione di Gianni Cuperlo, l’altra notte alla Camerae si è inchinato al nuovo segretario. Pier Luigi Bersani lo ha a lungo abbracciato. Renzi ha confermato il giovane capogruppo bersaniano Roberto Speranza e Luigi Zanda a Palazzo Madama. Ma ha avuto anche parole di rispetto per l’unico oppositore interno Cuperlo: “Gianni, sei un uomo di valore e io ascolterò sempre la tua opinione”, gli avrebbe detto.

Fino a quando durerà la fase ecumenica di Renzi nel Pd e con il governo Letta-Alfano? Secondo Emanuele Macaluso, coscienza critica della sinistra  e acuto osservatore degli scenari politici, per un po’ durerà. Dice Macaluso a Panorama.it: “ Letta e Renzi faranno finta di convivere; come in una partita di football ognuno resterà in attesa delle mosse tattiche dell’altro”. Ma fino a quando?

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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