Quel senso della De Girolamo per il potere
ANSA / CIRO FUSCO
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Quel senso della De Girolamo per il potere

La scalata del ministro dell'Agricoltura, ora nel tritacarne del processo mediatico e politico: con Renzi che potrebbe sfruttare la situazione

«Siamo tutti figli di Silvio Berlusconi e dobbiamo fare squadra… sì, è vero: ho pensato di mollare». Così diceva Nunzia De Girolamo, negli amari (per Berlusconi) giorni del voltafaccia di ottobre 2013 da parte di Angelino Alfano. Il 2 ottobre, pochi minuti dopo il drammatico voto di fiducia al governo, che vide il centrodestra unito, ma per l’ultima volta, «Nunzia» sembrava davvero agli occhi dei cronisti il ministro più tormentato del mondo. Ma un nano secondo dopo, per dire, oplà: decise di restare in sella, come se nulla fosse, all’amato dicastero dell’Agricoltura. Altro che mollare. Seguì senza più ansie e tormenti il vicepremier nella sua avventura del Nuovo centrodestra, spiazzando così un po’ le stesse  «iene dattilografe».

Abile e determinata, De Girolamo però evidentemente non aveva messo nel conto che in politica, parafrasando il vecchio adagio di Pietro Nenni, a fare troppo i furbi trovi sempre uno più furbo che ti epura. Il giovane ministro e il suo leader Alfano probabilmente avevano fatto i conti senza un mostro: il giustizialismo, malattia senile dei loro compagni di governo, che già ad ottobre stavano facendo prove tecniche per far decadere da senatore con voto elettronico il Cavaliere. 

Alla malattia del giustizialismo, usato come arma politica contro l’avversario di turno, non sfugge neppure la nouvelle vague renziana, dagli occhi blu di Maria Elena Boschi: «Il ministro deve chiarire in parlamento». Ma cosa deve chiarire «Nunzia? Come ha sottolineato Alfano, oltre che la diretta interessata, non c’è nessun procedimento giudiziario aperto nei suoi confronti, e sono state fatte «intercettazioni abusive nella sua abitazione». Secondo i maligni, il caso De Girolamo sarebbe un tassello della strategia della tensione studiata da Matteo Renzi per far saltare i nervi ad Alfano e indurlo a staccare la spina. 

Probabilmente il giovane ministro dell’Agricoltura quando a 32 anni entrò alla Camera vedeva tutto rose e fiori. Non avrebbe mai immaginato di finire nel frullatore del processo politico e mediatico, al solito innescato da «Il Fatto quotidiano», seguito a ruota da «La Repubblica». Fiumi di inchiostro su presunti favoritismi a parenti  nella sanità del Sannio, dai quali si capisce solo che De Girolamo sarebbe rea di aver usato espressioni, e questo a casa sua, «non da signora», per sua stessa ammissione. Un po’ sboccata  lo è sempre stata. Una volta entrando nella toilette di Montecitorio narrano che  se ne uscì davanti a tutti con un «che puzza di m… qui dentro!». Era il 2008 e lei era appena arrivata Roma. Aveva 32 anni ed era piena di quel verace entusiasmo, che attrasse il deputato pd Francesco Boccia, diventato poi suo marito. De Girolamo, già entrata da tempo in Forza Italia, familiarizzò con il Cav nel 2007. Gli regalò a un convegno nel beneventano la «Pigotta», ovvero la bambola di pezza dell’Unicef, diventata il simbolo per salvare i bambini in Africa. Ma «Nunzia» ci mise del suo e la ribattezzò «Libertà».

Balzò alla ribalta delle cronache quando Berlusconi mandò a lei e ad altre giovani deputate il famoso e scherzoso biglietto con scritto «Se avete qualche invito galante per colazione, vi autorizzo ad andarvene». Parole trasformate il giorno dopo quasi in capi di imputazione per il Cav e per le sue giovani onorevoli su alcuni giornali. 

Erano ancora i tempi quando «Nunzia» aveva i capelli lunghi e il look un po’ meno radical chic. Ora porta il caschetto d’ordinanza e gli abiti sono più minimal. Ma fin da subito narrano che avesse la fissa di apparire in Tv. Ci riuscì, anche attraverso gli ottimi rapporti che stabilì con la stampa. A lei insomma, sarebbero state strette le regole che valgono un po’ in tutti i partiti e cioè che si va in Tv quando decidono i vertici. 

Avvocato, figlia del direttore del Consorzio Agrario di Benevento, ha sempre avuto la passione per l’agricoltura, e quando si è presentata l’occasione giusta ha centrato l’obiettivo, anzi due obiettivi: quello di diventare ministro e di occuparsi della materia di famiglia. Tutto normale fin qui. Certo dice, un po’ troppe volte «m…» ( sarebbe anche  nell’sms con il quale avrebbe insultato Clemente Mastella) ed evidentemente non ha mai frequentato una scuola di partito. Ma non è affatto la sola e non può essere certo incriminata per questo. All’abilissima «Nunzia» una sola cosa però è sfuggita: la politica non è un pranzo di gala, soprattutto se la fai con chi ha issato «la ghigliottina» della decadenza per cercare di eliminare dalla scena politica un due volte premier, il leader di cui «siamo tutti figli». Almeno questo «Nunzia» diceva nei giorni della «rivoluzione» alfaniana d’ottobre.   

 

      

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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