L'interdizione di Berlusconi e la doppiezza renziana
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L'interdizione di Berlusconi e la doppiezza renziana

Il rischio boomerang per la sinistra come nel '93, quando pensò di essere diventata padrona d'Italia: ora anche il sindaco d'Italia rischia un risveglio amaro alle europee

Un uomo solo al comando? Ovvero per i prossimi anni dominerà la voce unica di MatteoRenzi, una volta eliminato per via giudiziaria il leader «incontrastato» (copyright Giorgio Napolitano nel Ferragosto 2013) di 10 milioni di italiani? SilvioBerlusconi è stato interdetto per due anni dai pubblici uffici, subirà anche l’onta di non poter recarsi alle urne alle elezioni europee (negata per lui sia la funzione elettorale attiva che quella passiva) ed ha subìto perfino la perdita del titolo di Cavaliere (nomina dalla quale si è auosospeso, prima che zelantemente e penosamente lo facessero altri e sempre in base all’applicazione retroattiva della legge Severino). Game is over? Per dirla alla Renzi? Tutt’altro. In molti hanno cantato vittoria probabilmente troppo presto. 

Il segretario(Pd)-premier, senza essere passato per il consenso elettorale, da sindaco d’Italia, come lui ama presentarsi, ora rischia la parabola di quei sindaci di centrosinistra che nel 1993 vinsero a tutto campo in Italia, lasciando prefigurare la sicura vittoria dell’allora Pds per il governo del Paese. La sinistra allora come ora non fece i conti con la forte identità moderata, liberaldemocratica, socialista riformista rappresentata nel tanto vituperato pentapartito della Prima Repubblica. Un’identità ancora vasta alla quale Berlusconi dette rappresentanza e un tetto politico con la sua discesa in campo nel 1994 che sbaragliò la sinistra, gelandole ogni sogno e lasciandola per vent’anni a leccarsi le ferite delle sue effimere e il più delle volte mancate vittorie, come l’ultimo fallimento di un anno fa quando Pier Luigi Bersani se ne uscì con quel contorto: «Siamo arrivati primi, ma non abbiamo vinto». Ora c’è l’uomo solo al comando, che riempie ogni giorno i giornali e gli schermi televisivi, quel Renzi, odiato dall’ala post comunista del Pd che al momento però è costretta per convenienza personale ad abbozzare e talvolta inchinarsi. Renzi, uno e trino, da un lato sta facendo entrare il Pd nel Pse dall’altro lato fa accordi con Forza Italia, senza la quale le sue riforme non sarebbero possibili, ma già persegue il sogno di destrutturarla, una volta eliminato il Cav, anzi  ex Cav, ma  sempre Cav, per via giudiziaria.

È lo stesso Renzi che una volta decaduto Berlusconi disse con cinismo soddisfatto: «Game is over». Lo stesso che, narrano, pretese la testa di Berlusconi senatore su un piatto d’argento per vincere il congresso delle primarie. Renzi vorrebbe ora prendere consensi tra quei 10 milioni di italiani che un anno fa si rifiutarono di votare per Bersani, come se le elezioni vere, a cominciare da quelle più ravvicinate: le europee, fossero alla stregua delle sue primarie, dove non solo lui, ma anche Bersani e prima ancora Walter Veltroni radunarono quella quasi ormai fisiologica cifra dei 3 milioni di voti. Ma tra i desideri e la realtà c’è l’identità moderata, liberale e autenticamente riformista del Paese. Ci sono quegli italiani che valutano e riflettono sulle piroette di «Matteo»: 80 euro netti al mese da maggio a chi non prende più di 1500 euro, le coperture però si trovano colpendo al solito il ceto medio, a cominciare dalla tassazione delle rendite finaziarie o con non ancora ben precisate restrizioni sulla sanità: basta con la concertazione con i sindacati ma c’è una corrispondenza di amori sensi con il più «rosso» di tutti, quel Mauriuzio Landini della Fiom che sogna di abbattere il capitalismo; riforme timide sulla giustizia, dove Renzi parla giustamente ma esclusivamente della riforma di quella civile, non c’è traccia invece nelle sue proposte finora del superamento della separazione delle carriere, riforma questa sì che ci renderebbe un paese più europeo. La storia, si sa, quando si ripete è farsa. Il rischio è quello di passare dalla doppiezza togliattiana alla doppiezza renziana.

Si è chiesto, il giovane premier, come reagirà l’altra metà del paese che continua a vedere in lui, nonostante gli apprrezabili passi in avanti, ancora tutti i nodi irrisolti della sinistra più arretrata d’Europa, dove non a caso, dopo l’eliminazione del Psi e di Bettino Craxi per via giudiziaria, non c’è un vero partito socialista, laburista, una sinistra ancora anni luce distante da Tony Blair? Le candidature del Pd alle europee, di fatto il primo test elettorale di Renzi, del resto, stando ai nomi che avanzano, questa sinistra vecchia e irrisolta la rappresentano tutta: si va dall’ex governatrice del Piemonte Mercedes Bresso a caccia di rivincite, all’ex comunista, molto poliedrico ma anche molto consumato Goffredo Bettini, a Vasco Errani, il presidente dell’Emilia Romagna, ritenuto il personaggio più influente del cosiddetto «tortello magico» di Bersani. Il rischio per il Pd  di un risveglio amaro dopo aver pensato di conquistare tutto attraverso il «sindaco d’Italia», uomo solo al comando, è sempre dietro l’angolo. Il ’93, quando la sinistra per qualche settimana si sentì padrona d’Italia, docet. C’erano sempre i sindaci dietro quella ubriacatura.

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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