Il popolo "eversivo" di Berlusconi
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Il popolo "eversivo" di Berlusconi

Chi c'era e perché in via del Plebiscito alla manifestazione contro la condanna di Silvio Berlusconi - il discorso: testo e video - le foto - Grazia si, ma anche no - L'editoriale del direttore di Panorama - Lo speciale

Una casalinga quarantenne di Viterbo, con il marito ex maresciallo in pensione; un impiegato, sempre in pensione, delle poste di Roma; un giovane ufficiale della marina militare; una ragazza diversamente abile, che racconta come per una sentenza kafkiana, le hanno tolto la casa. Una insegnante e un postino. Gente di tutti i giorni. Jeans e magliette a basso costo. Niente gioielli. L’Italia normale e popolare.

Abbronzature prese andando ad Ostia con il trenino, rughe che non rivelano lifting o uso di creme dal costo che richiederebbero se non un mutuo quanto meno un prestito per gente di tutti i giorni che se guadagna 2000 euro al mese è grasso che cola. Via del Plebiscito, tra le 18 e le 19 della più torrida, climaticamente e politicamente parlando, domenica di questi ultimi anni. Eccolo qui il popolo «eversivo» di Silvio Berlusconi.

Sguainano le bandiere di Forza Italia, cartelli con il Vangelo secondo San Paolo contro «empietà e ingiustizia», cartelli duri contro i giudici, ma è gente che avresti potuto ritrovare a una manifestazione dei vecchi partiti della Prima Repubblica (certamente Dc, Psi, Msi, e un po’ forse anche Pci).

«È gente semplice, vera dell’Italia normale, ma quali eversori!», osserva Giovan Battista (detto Gegè), Caligiuri, ex senatore del Pdl, ex presidente della Regione Calabria, tra i fondatori di Forza Italia, che, seppur amico di una vita del Cavaliere e di Bettino Craxi, se ne sta in disparte, in questa torrida domenica, ad osservare «il popolo eversivo di Silvio», come dice ironicamente.

Sarà lo stesso Berlusconi a dire che il suo popolo non è né irresponsabile, né eversivo, quando dopo aver attaccato «una parte della magistratura», secondo la quale ci sarebbe democrazia «solo se governa la sinistra» ed aver ricordato che, secondo la Costituzione «sovrano è il popolo» e  non quindi questa «parte della magistratura politicizzata», che lo ha «perseguito», anzi «perseguitato» per vent’anni», ribadisce che il governo deve andare avanti, ma anche: «Io non mollo e resto in campo».
Per le riforme economiche indispnesabili al la ricrescita di un Paese esangue, per una riforma della giustizia, per «una battaglia di democrazia e libertà». E non a caso il solo inno che squilla è «E Forza Italia…».  La nuova Forza Italia, che lui rifonderà.

«E che deve fare se non restare in campo?», osserva il senatore Donato Bruno, uomo di punta delle cosiddette «colombe» del Pdl.  Sarebbe ipocrisia negare che nel Pdl in queste ore sia in atto una discussione sull’introduzione dell’elemento della richiesta della grazia al capo dello Stato,  introdotto nel dibattito dalle uscite dei capigruppo Renato Brunetta e Renato Schifani. Che probabilmente oggi saliranno sul colle più alto. E probabilmente, anche se si trincera dietro un secco no comment Bruno, non è d’accordo con l’aver chiamato così in causa Giorgio Napolitano. Probabilmente altri non lo sono nel Pdl.

Ma il punto è per tutti, falchi o colombe, che «di fronte alla Giustizia Berlusconi è più eguale degli altri», come recita un cartello.  È così «più eguale» che Roma,  diventa per alcune ore il palcoscenico di colui che, a  norma di legge, è un condannato in via definitiva. E senza, che  in questa sera nessuno gli tiri monetine. Come accadde vent’anni fa, a Largo Febo, a Bettino Craxi all’uscita dall’hotel Raphael. Le agenzie raccontano di una piccola scaramuccia di alcuni manifestanti contro una esponente del Popolo Viola, alla quale sarebbe stata tirata qualche monetina, al termine della manifestazione. Monetine a parti rovesciate. Non è più l’Italia di vent’anni fa.

Berlusconi si affaccia alle otto della sera dal retro di Palazzo Graziali per salutare i manifestanti che lo invocano ancora. Prima una battuta ironica, dall’alto della finestra dalla quale è affacciato: «Guardate, che io non mi butto». Poi, un ringraziamento: «Non dimenticherò mai questa giornata». Forse di «capri espiatori» e di cacce al «cinghialone», come elegantemente, diciamo così, Antonio Di Pietro definì Craxi, o in questo caso di cacce al «Caimano», l’Italia normale di postini, insegnanti, marescialli in pensione, ufficiali di marina, o diversamente abili sfrattati con «sentenze kafkiane», è davvero stufa.

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Paola Sacchi

Sono giornalista politico parlamentare di Panorama. Ho lavorato fino al 2000 al quotidiano «L'Unità», con la mansione di inviato speciale di politica parlamentare. Ho intervistato per le due testate i principali leader politici del centrodestra e del centrosinistra. Sono autrice dell'unica intervista finora concessa da Silvio Berlusconi a «l'Unità» e per «Panorama» di una delle prime esclusive a Umberto Bossi dopo la malattia. Tra gli statisti esteri: interviste all'ex presidente della Repubblica del Portogallo: Mario Soares e all'afghano Hamid Karzai. Panorama.it ha pubblicato un mio lungo colloquio dal titolo «Hammamet, l'ultima intervista a Craxi», sul tema della mancata unità tra Psi e Pci.

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