Giacobini siamesi
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Luigi Zanda come Beppe Grillo sull'ineleggibilità di Silvio Berlusconi

Luigi Zanda è uomo di mondo. Una volta fu eletto in un collegio senza avversari, eliminati per un pasticcio burocratico, ai Castelli Romani. Ha buone amicizie tra gli
eterodirettori del Pd, il gruppo Espresso- Repubblica. Ma sorride in modo non fanatico a chi incontra, e nessuno pensa davvero che Zanda creda all’ineleggibilità di Silvio Berlusconi.

Uno eletto per obbligo come lui, il suo nome solitario nella scheda, sa che è meglio per la democrazia la competizione fra avversari. Magari quelli che la storia di un paese e la sovranità del popolo riconosce per tali. Così nessuno può pensare che Berlusconi sia un errore giuridico da cavillo mancato e, allo stesso modo, nessuno può ipotizzare che Beppe Grillo debba diventare un serio capopartito per essere eletto con il suo movimento di ciuchi senza o con la diaria.

Certe cose spettano a Paolo Flores d’Arcais o a Marco Travaglio, che c’entra Zanda? Però siamo un Paese strano, e questo rampollo di famiglia dello Stato (il padre fu illustre capo della polizia, il patrocinatore politico fu nientemeno che Francesco Cossiga) ora è diventato il gemello siamese e insieme il fraterno nemico di Grillo. In un delirio di establishment, qualcuno amico di Zanda vorrebbe escludere dalla politica i due leader che in modi diversissimi, e con implicazioni opposte, sono diventati parte di essa a suon di voti.

Resterebbero a governarci editori, banchieri, capi partito tradizionali: è la constituency tipica di uno Zanda, intendiamoci, ma sola soletta, senza alcuno che ne contesti il primato monopolistico, è una brigata di aspiranti suicidi non assistiti. I requisiti stabiliti dalla legge sono importanti, ovviamente, ma il principio costituzionale decisivo, fissato dall’articolo 51, è che l’accesso alle cariche pubbliche deve essere garantito senza discriminazioni. Il dubbio che la garanzia debba essere riservata anche al capo di 9 milioni di elettori, più volte parlamentare e premier, ha sempre suggerito alle Camere di appartenenza la ratifica della elezione di Berlusconi. In dubbio, pro ragionevolezza. Ma che fine ha fatto la ragionevolezza, ovvero il principio di realtà e il suo rispetto, di cui a lungo ha parlato il capo dello Stato?

La crisi del Partito democratico genera mostri, è un po’ che lo diciamo. E per un Matteo Renzi che sfruculia i giurisperiti del colpo di stato permanente, rivendicando alla lotta politica quello che essi vorrebbero delegare alle tesi di laurea di una mezza dozzina di costituzionalisti militanti, cioè la prevalenza sull’avversario politico, si moltiplicano i casi alla Felice Casson, magistrati in fregola di rivincita sull’uomo che li ha inchiodati per 20 anni alla loro partigianeria politica.

Ma Zanda è uomo di mondo, come direbbe Antonio sul cadavere della ineleggibilità. Scommetto dunque contro questo gemellaggio della follia. Non se ne farà nulla, né contro Berlusconi né contro Grillo. E se maise ne facesse qualcosa, sarebbe la ciliegina sulla torta di una lunga epoca di spacconeria e di stupidità politica e civile. Il risultato non tarderebbe: una risata maligna,in diretta elettorale,seppellirebbe quelli prividi senso dell’umorismo

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Giuliano Ferrara