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ANSA/MARCO COSTANTINO
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Sicilia: ecco perché deve andare al voto

Le riforme mancate di una regione: province, sanità, dirigenti, conti. Un'analisi punto per punto dell'esperienza fallimentare del governo Crocetta

È «unfit», inadatto, non per un’intercettazione ma per la sua spericolatezza amministrativa, per la demagogia sudamericana e per aver sfasciato la contabilità di una regione.

Per far dimettere il governatore siciliano Rosario Crocetta basterebbe l’inadeguatezza più che la conversazione telefonica diffusa dal settimanale L’Espresso ma smentita dal procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi. Il presidente siciliano al telefono con Matteo Tutino, medico personale e gaglioffo in camice bianco arrestato per truffa aggravata ai danni della sanità pubblica, sarebbe rimasto silente di fronte all’odiosa frase del chirurgo che così parlava di Lucia Borsellino, ex assessore alla sanità: «Deve fare la fine di suo padre». Per intenderci si prosegue con la solita barbarie del privato violato, delle smargiassate esibite come fossero delitti.

Va detto che tra tutte le responsabilità di Crocetta è proprio in questa telefonata che non se ne individuano. Con il suo tono melodrammatico «riservatemi la solitudine», «sono disperato, distrutto, piango», «dopo il metodo Boffo, il metodo Crocetta», il governatore si è autosospeso dalla carica intrepretando a sua discrezione lo Statuto siciliano che infatti non prevede l’autosospensione ma solo le dimissioni. E resiste interpretando la parte di Salvador Allende: «Se il Pd mi sfiducia sarà golpe». A Crocetta si deve dunque l’ennesima astuzia, dopo l’antimafia come patacca, il socialismo plebiscitario che contamina i conti pubblici, l’omosessualità vittimistica, la straordinaria capacità di conservare la peggiore classe politica del paese e rilanciarla al comando. Chi ha scritto di Sicilia e di Crocetta, e Panorama lo ha fatto, sa che è la doppiezza come metodo che bisogna contestargli, la falsificazione delle parole. Crocetta non ha frenato solo un territorio ma lo ha imprigionato nel bozzetto e nella caricatura. Dopo di lui, la Sicilia sarà sinomimo di pasticcioneria, della lingua arruffata, di fanfaroneria istituzionale. Va rimosso perché è già un repertorio.

Conti
Per la Corte dei Conti il debito certificato della Regione Sicilia è di 7,9 miliardi di euro. Sulla testa di ogni siciliano pende un debito di 1040 euro (nel 2014 era di 1028 euro). La Regione ha un dirigente ogni 8.6 dipendenti. Nonostante in Sicilia ci siano 17.325 dipendenti a tempo indeterminato, nell’ufficio che ha come compito quello di liquidare le società partecipate non ci sono funzionari, ma in compenso c’è un dirigente che non si capisce cosa diriga. Opponendosi ai controlli, le società partecipate hanno impedito ogni sorta di monitoraggio. Qui la spendig review rimane una parola non tradotta. Il procuratore generale della Corte dei Conti, Dario Calaciura, nella sua ultima relazione, così ha dichiarato: «Le luci sono poche e fioche, le ombre sono oscure e minacciose». Non è l’oceano ma è una regione: Sicilia, Italia.

Province
Abolite nel resto del paese, le province sopravvivono solo in Sicilia. Ad aprile, con un blitz d’aula e protetti dall’anonimato, i deputati regionali hanno bloccato la legge che le superava e le sostituiva con liberi consorzi. Oggi le province sono amministrate da commissari fedelissimi e scelti da Crocetta che nella loro veste indirizzano e nominano altri piccoli scherani in quel sottosuolo composto da ulteriori società partecipate, uffici e reparti sparsi per le province dell’isola. Tra i commissari che si sono avvicendati c’è stato anche Antonio Ingroia, spedito a Trapani non per gestire l’ente ma «per cercare Matteo Messina Denaro». Ingroia dalla Regione Sicilia ha percepito emolumenti per 200 mila euro. Ad oggi 6000 dipendenti che lavorano nelle province, non conoscono il loro destino e sono già pronti a marciare su Palermo e dopo su Roma. È l’esercito dei soliti disposti a tutto e che Crocetta a ogni piè sospinto usa come rappresaglia contro l’Italia e contro il governo.

Società partecipate e le competenze come amicizia
Aveva promesso di liquidarle, «ne rimarrano solo sei», e invece le ha affidate a famuli, ex magistrati disoccupati. Anziché alienarle o ridurle, Crocetta ha stilato una lista di società indispensabili, due, che non a caso ha affidato ad Antonio Ingroia (Sicilia e-Servizi) e ad Antonio Fiumefreddo (Riscossione Sicilia). Ingroia da commissario di Sicilia e-Servizi è stato indagato insieme a Crocetta (abuso d’ufficio) per aver autorizzato assunzioni in sprezzo alle norme. Fiumefreddo, ex avvocato di Raffaele Lombardo, predecessore di Crocetta e oggi sotto processo per mafia, oggi è il legale di Crocetta. Con Lombardo, Fiumefreddo era stato commissario del Teatro Bellini riuscendo a chiudere il bilancio con 3,2 milioni di euro fuori bilancio. Da Crocetta era stato perfino indicato come assessore ai Beni Culturali ma non si è mai insediato a causa delle polemiche. Le società partecipate siciliane gravano, secondo la Corte dei conti, per 272 milioni di euro e tale cifra riguarda solo le spese per il personale.

37 assessori
Lucia Borsellino non è stata solo la protagonista della telefonata che imbarazza Crocetta, ma è stata anche l’ultimo assessore a lasciare la sua giunta. In meno di due anni e mezzo in Sicilia si sono avvicendati 38 assessori. La media di sostituzione è uno ogni quindici giorni. Ha cambiato più assessori lui che idea il governo greco. Nel settore più importante della regione, l’economia, da inizio legislatura ben quattro sono stati gli assessori sostituiti e sempre spediti da Roma con l’intenzione di commissariare la Sicilia e risanare i conti. Come assessore alla funzione pubblica, poche settimane fa, Crocetta ha indicato Giovanni Pistorio, delfino di Raffaele Lombardo e protagonista di una mega assunzione di massa nelle vesti di ex assessore alla sanità: 3000 dipendenti a carico della regione. Non solo non lo hanno allontanato dall’isola. Crocetta lo ha riportato al governo.

Sanità
La Regione Sicilia ha debiti sanitari fino al 2045. Per evitare il commissariamento da parte dello Stato, il governo si è impegnato a corrispondere 96 milioni di euro ogni anno. Nonostante sia ulteriormente aumentata la spesa (9 milardi di euro nel 2014) la sanità dell’isola rimane appaltata a manager di nomina politica e l’isola è un porto di malasanità. Già a febbraio, Lucia Borsellino aveva rassegnato le dimissioni da assessore in seguito alla morte della piccola Nicole avvenuta a Catania. In tre province i funzionari del 118 non riuscirono a trovare un posto in terapia intensiva per salvare la piccola. In Sicilia, ancora eccezione italiana, si continuano a mantenere i punti nascita con meno di 500 parti l’anno e non per ragioni sanitarie ma solo perché bacini di voti da foraggiare.

Beni Culturali

Con le proprie opere tenute in ostaggio dai dipendenti regionali che le usano come strumento di ricatto per strappare straordinari, la Sicilia è un obitorio di capolavori. Il “Sorriso dell’Ignoto Marinaio” è stato spedito a Milano per Expo lasciando orfana Cefalù. Per il Satiro danzante di Mazara del Vallo solo oggi si è pensato di riqualificare un’area che da anni era inadatta. Ad Agrigento, la casa di Pirandello, prima che lo scrivesse Panorama, era occupata da 18 dipendenti in 80 metri quadrati. A Siracusa, proprio questa settimana, per sciatteria si sono persi 9 milioni di finanziamenti europei destinati alla riqualificazione di beni culturali. Ad Aidone e Piazza Armerina, su decisione dell’ex assessore Maria Rita Sgarlata, era stato istituito un biglietto unico che aveva permesso di incrementare il numero di visitatori. Oggi si è tornati all’antico per campanilismo. «Quelli di Piazza Armerina non lo accettavano» dice il sindaco di Aidone. Più sperduti dei siciliani, in Sicilia ci sono solo i monumenti.

Antimafia
Teorizzata da Crocetta come una categoria dello spirito e non come una predisposizione civica, la parola si è svuotata di significato fino a perderlo. Dilaniata al suo interno in frazioni, l’antimafia siciliana è stata una chiesa che ha marchiato, favorito interdettive nei confronti di aziende, perpetuato parabole politiche come quelle di Giuseppe Lumia, non candidato dal Pd ma eletto grazie alla lista di Crocetta in senato. E ancora quella di Antonio Ingroia, ex magistrato che sulla presunta trattativa Stato-mafia si prefiggeva di riscrivere la storia patria e che in Sicilia è tornato a svernare dopo il flop della sua lista Rivoluzione Civile. Sull’antimafia, Crocetta ha costruito la sua fortuna politica come ha scritto il vicepresidente della commissione antimafia, Claudio Fava. Mettendosi a suo fianco la figlia di Paolo Borsellino, si è servito del cognome per schivare le critiche di merito. Con lui da momento di riscossa collettiva, l’antimafia si è ridotta a rito stanco.

Intercettazione
Crocetta non deve dimettersi per un’intercettazione. E non perché sia smentita dal procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, che nega la l’esistenza: «Non risulta trascritta alcuna telefonata», ma perché quell’intercettazione, odiosa quanto sia, rimane il codice della millanteria, dell’umanità stravaccata. Non si può condannare Crocetta per viltà telefonica, per silenzio di fronte a un’audio, che come viene espressamente precisato da chi lo ha diffuso e lo ha ascoltato, rimane «sporco, con interferenze». E infatti quell’audio non è presente nell’indagine che ha portato in carcere Matteo Tutino e «non fa parte di atti pubblici». Quella frase di Tutino racconta solo una sporcizia, e come tutti i rifiuti, imbratta chi la maneggia. Vale ricordare quanto diceva Giorgio Manganelli: «Un minuto domestico, affettuoso controllo dei telefoni è la prima mossa per fare della patria un longilineo, efficiente stato di concentramento. E quello che stupisce è la collaborazione della magistratura a queste rozze emozioni ottocentesche».

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Carmelo Caruso