Roma: chi ha vinto e chi ha perso il primo tempo
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Roma: chi ha vinto e chi ha perso il primo tempo

Archiviato il primo turno delle Comunali, Roma verso il ballottaggio

Non è vero, come hanno scritto in tanti, che, alla luce del dato sull'astensione (ha votato il 52,8% degli aventi diritto, appena un romano su due con una fuga dai seggi, rispetto al 2008 di quasi mezzo milione di elettori), a Roma, al primo turno delle Comunali, hanno perso tutti. Quanto meno non tutti allo stesso modo. C'è, infatti, chi ha perso di più e malamente, chi ha tenuto, chi ha stravinto.

Ha perso, per esempio, Gianni Alemanno. Il primo sindaco della storia che alla prima verifica elettorale dopo cinque anni di governo, viene bocciato dai cittadini che lo inchiodano a un 30,2% contro il 42,6% dello sfidante di centrosinistra Ignazio Marino.

Ha perso, e malamente, il Movimento 5 Stelle precipitato dal 27,3% delle politiche e dal 16,8% delle regionali nel Lazio, a un misero 12,8%. Per quale motivo? Se ne potrebbero elencare diversi: il malcontento di una parte dei suoi sostenitori davanti alla mancata alleanza post elettorale con il Pd di Pier Luigi Bersani per la formazione di un governo; la tiritera sugli scontrini di deputati e senatori ostaggi di un perenne dibattito autoreferenziale da cui non è ancora emersa una proposta che sia una per il bene del Paese; la debolezza di un candidato come l'avvocato un pò coatto, Marcello De Vito, scelto su internet con soli 500 clic.

Quando, livido in volto, si è presentato lunedì pomeriggio davanti alle telecamere per commentare il voto, De Vito ha gelidamente sibilato che il 9 e 10 giugno lui andrà ai seggi ma non voterà per nessuno dei due candidati e che se c'è qualcuno che ha la colpa del magro risultato racimolato, quel qualcuno sono i giornali che non gli hanno dato abbastanza spazio. Ma come? Non erano i grillini a sparare a zero contro la stampa e non sono sempre loro a urlare ai quattro venti che i giornalisti sono tutti venduti e che non bisogna fidarsi, che bisogna registrare tutto e, allo stesso tempo, non dire niente? Per non parlare della valutazione sul dato dell'astensione, “Se i romani non sono andati a votare – ha recitato De Vito – è colpa dell'anti-politica”. Di nuovo: ma non eravate voi l'anti-politica? 

Capitolo Pd, che, contro ogni previsione e sondaggio, ha invece “tenuto botta”, trascinato, soprattutto, da un candidato con un profilo alternativo all'immagine che i democratici si sono costruiti in questi ultimi mesi. Sbaglia, infatti, la direttrice di Euromedia ReaserchAlessandra Ghisleri a dire, intervistata ieri da Il Messaggero, che “E' fin troppo evidente che Marino ha potuto giovarsi di un voto d'apparato”. Quale apparato? A Roma il cosiddetto apparato è imploso dopo le politiche. Da oltre un mese non ci sono né segretario né segreteria. La macchina organizzativa, a rischio paralisi, si è mossa a rilento  incespicando a ogni passo. Ci sono stati problemi addirittura per piazzare i gazebo in città. Al comitato di Ignazio Marino di via Cristoforo Colombo, a parte il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti (l'unico che, non a caso, Marino ha voluto accanto a sé sul palco in Piazza San Giovanni, lasciando dietro le quinte anche lo stesso Goffredo Bettini che era stato uno dei suoi sponsor della prima ora), vertici, dirigenti, volti noti del partito si sono materializzati solo alle 18 di lunedì pomeriggio quando si è capito che il medico genovese aveva vinto il primo turno.

Perché nelle ultime settimane, a parte pezzi comunque importanti del Pd capitolino come Silvio Di Francia, Enzo Foschi, Marta Leonori, Michele Meta, il resto dell'”apparato”, non si è visto più di tanto al fianco del suo candidato se non, appunto, alla fine, quando, a giochi ormai fatti, si sono materializzati tutti per stringergli la mano tra grandi sorrisi e pacche sulla spalla.

Chi, invece a Marino ha sempre dato un sostegno concreto e non di facciata è il partito di Nichi Vendola che esce da questo test elettorale a testa alta. Proporzionalmente, infatti, se il Pd resta fermo al 26%, Sel guadagna sia rispetto alle precedenti comunali del 2008 che rispetto alle politiche di febbraio, superando il 6% e portando in Assemblea capitolina ben quattro consiglieri tra cui Gemma Azuni, terza donna più votata tra tutti i partiti (centrodestra compreso) che si sono presentati a queste elezioni e terza assoluta anche della coalizione di centrosinistra.

Chi, poi, può ritenersi, a ragione, soddisfatto è Alfio Marchini che ha quasi sfiorato il 10%. Le trattative per stringere un accordo con Ignazio Marino in vista del ballottaggio del 9 e 10 giugno sono già partite.

Ma la vittoria non è scontata. Umberto Croppi, ex assessore della giunta Alemanno, artefice della clamorosa rimonta su Francesco Rutelli all'epoca della sfida del 2008, e oggi passato a sostenere la coalizione di centrosinistra avverte: “Attenzione a Gianni, è un campione delle imprese impossibili”.

Vero, ma allora valeva ancora l'effetto novità e soprattutto il sostegno, senz'altro più convinto rispetto ad oggi, di Silvio Berlusconi che venerdì scorso, intervenendo al Colosseo alla chiusura della campagna elettorale, non ha nemmeno attaccato, con la solita verve, la sinistra. Nemmeno quella romana. Oggi, insomma, tira un'altra aria. I romani sono delusi. Addirittura i tassisti hanno girato le spalle al loro sindaco e, come dice Arfio, “Abbiamo già liberato il gatto di Alemanno”.

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Claudia Daconto