Il paradosso della grande riforma renziana del Senato
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Il paradosso della grande riforma renziana del Senato

Metà Parlamento voterebbe per la rivoluzione del Senato e la nuova legge elettorale solo per arrivare a fine legislatura. Invece il premier acellera solo per essere pronto per andare alle urne se nei prossimi 12 mesi le sue tante promesse si dovessero infrangere

Paradossi del Palazzo. Metà del Parlamento potrebbe votare le nuove riforme di Matteo Renzi, senza entusiasmo, solo per evitare le elezioni anticipate. Invece per assurdo (e questo la dice lunga sulla furbizia degli inquilini di Camera e Senato) proprio queste riforme sono lo strumento di cui Renzi ha bisogno per portare il Paese alle urne, nel caso in cui da qui a 12 mesi tutte le sue promesse si infrangessero contro i numeri spietati della nostra crisi economica e, addirittura, nel giro di un anno fossimo costretti a fare due manovre per accontentare la Ue.

"In realtà" osserva il mite Vannino Chiti, capo dei ribelli del Pd, "Renzi punta soprattutto a prepararsi la strada del voto: un Senato elettivo gli rovinerebbe i giochi perché la nuova legge elettorale votata da Montecitorio non lo contempla. Di più, Renzi ha un piano ancora più ambizioso: nel nuovo sistema la Camera resterebbe immutata, solo il Senato verrebbe stravolto ma parteciperebbe all’elezione del capo dello Stato. Allora mi chiedo: fatte le riforme, vista la volontà di Giorgio Napolitano di dimettersi, il suo successore, che dura 7 anni, sarà votato con le vecchie regole o con le nuove? Io sono convinto con le nuove".

Chiti conclude il ragionamento: "Per cui Napolitano prima di andarsene preparerà il terreno, con Renzi, per far si che le nuove regole siano applicate.
Gli basterebbe sciogliere il Senato e far nominare il nuovo dai consiglieri regionali in carica. E Renzi potrebbe continuare a governare con l’attuale Camera dove ha la maggioranza grazie al premio di maggioranza. Il ragazzo è furbo".

Sono congetture su cui si lambiccano in queste settimane tutti i partiti, dove già c’è l’atmosfera del "si salvi chi può". In fondo la scelta del premier di mettere tanta carne al fuoco (dalla riforma del fisco a quella della giustizia) usando più slogan che proposte, ha il sapore di un programma elettorale, non di un programma di governo. E mezzo Pd comincia a capire quali sono le reali intenzioni del premier.

Anche dentro il Ncd in molti hanno fiutato l’aria, tant’è che Gaetano Quagliarello e Giovanni Azzolini hanno presentato emendamenti per l’elezione diretta. E in Forza Italia? L’interprete più fedele di quella categoria dello spirito italiano che è il "si salvi chi può", è Denis Verdini. L’ambasciatore del Cav presso la corte del nuovo principe de’ Medici a Palazzo Chigi, ha un solo credo: il patto del Nazareno. "Eh, lì s’è fatto un accordo" è la litania che ripete privilegiando l’accento di chi è bagnato dall’Arno "e non si gioca una partita due volte".

Solo che mentre lui lo interpreta in termini rigidi come fosse il verbo di Dio, Renzi lo tira da una parte e dall’altra come gli fa più comodo."È una follia" se la prende Renato Brunetta. "Stiamo regalando tutto a un premier che non lo merita". "Se si va avanti nell’accordo" s’inalbera Maurizio Bianconi "autorizzeremmo l’eutanasia di Forza Italia". Solo che nel gruppo dirigente del partito, come al solito, sta prendendo il sopravvento lo spirito conservatore: "Dobbiamo farlo"; "Non ci sono alternative". "È lo stesso spirito" ironizza Augusto Minzolini "che li ha portati a votare il fiscal compact che oggi tutti disconoscono. O la legge Severino, cioè quella che ci ha fatto fuori il leader. I soliti geni".

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Keyser Soze