Elezioni Regionali: 6 test (nazionali) in un giorno solo
ANSA/Thierry Pronesti
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Elezioni Regionali: 6 test (nazionali) in un giorno solo

Ecco per chi e perché il risultato del voto di domenica avrà un peso e conseguenze a livello nazionale

Saranno eccome, le regionali di domenica prossima, un test elettorale di rilevanza nazionale. E non solo, checché ne dica Matteo Renzi, per il governo. I risultati ci diranno infatti sì cosa pensano del suo operato i 17 milioni di italiani chiamati alle urne, ma anche se Matteo Salvini può davvero ambire a diventare l'anti-Renzi alle prossime politiche, quanto sono influenti i fuoriusciti da Pd, Lega e Forza Italia (Pastorino-Civati, Tosi e Fitto), che peso potrà ancora essere attribuito a Ncd nello scenario politico italiano e dentro lo stesso governo.


Un voto sul governo

Per quanto riguarda il governo, Matteo Renzi è il primo a sapere benissimo che il test delle regionali è un test nazionale quanto lo furono le Europee di un anno fa. Anche se si vota solo in 7 regioni, nessuno crede che nelle urne i cittadini penseranno solo a ospedali, strade, pesca e agricoltura locali. Anzi, se il 24 maggio del 2014, attribuendo al Pd oltre il 40% gli elettori premiarono le promesse del neo premier dem, stavolta giudicheranno i fatti. Renzi dice che per il governo non cambierà nulla perché sa che, comunque andrà domenica prossima, nessuna delle forze presenti in Parlamento, a esclusione dei 5 Stelle, vuole tornare alle urne prima del tempo. E lui avrà quindi la possibilità di fare quello che si è prefissato: agganciare la ripresa e presentarsi alla scadenza della legislatura, nel 2018, con un forte credito da spendere. Le conseguenze ci saranno più che altro a livello interno. Renzi vuole cambiare il Pd. Se domenica finirà 7-1 avrà gioco facile. Se dovesse invece finire con un 4-3 (e quindi anche con la sconfitta in Liguria), sarebbe un po' più complicato perché i nemici che ha in casa riprenderebbero fiato e vigore. Oltre che l'esito sui singoli candidati, peserà anche la percentuale del Pd. Tutti pronosticano un calo sensibile dal 40% di un anno fa e un aumento ulteriore dell'astensione. Entro una certa misura però sarebbe da considerare fisiologico. Il problema si presenterebbe se i dem dovessero scendere sotto la quota bersaniana del 25%.

Un voto su Salvini al Sud

Televisivamente Matteo Salvini è già l'anti-Renzi. Bisognerà vedere se anche politicamente può ambire al ruolo. Finora a parlare sono stati solo i sondaggisti. E gli elettori di Trento e Bolzano dove la Lega ha triplicato i suoi consensi. Per sentire cosa hanno da dire le urne anche sotto il Po, dovremo aspettare domenica. Sicuramente il Carroccio andrà bene in Liguria e dopo aver rinunciato al proprio candidato, Edoardo Rixi, potrà anche rivelarsi determinante per la vittoria di Toti. In Veneto non c'è mai stata storia. Nemmeno la rottura, drammatica per certi versi, con Flavio Tosi sembra infatti poter ostacolare la corsa di Zaia verso la riconferma. L'incognita è altrove. Per poter ambire al governo del Paese sfidando il Pd di Matteo Renzi, Salvini dovrebbe avere una buona affermazione anche al Centro-Sud. In queste settimane, con il suo carico di felpe, ha viaggiato molto. E' stato in Campania, in Sicilia, in Puglia. Ma gli attacchi e le contestazioni non sono mancati. Ma anche ammesso che gli “estermisti e anti-democratici” che lo hanno preso a sassi e pomodori siano solo una minoranza, sarà riuscito Salvini a convincere il resto, o almeno una parte, dell'elettorato moderato e maggioritario?

Un voto su Tosi senza la Lega

Il voto di domenica sarà un test anche per i cosiddetti “fuoriusciti” della Lega e del Pd. Flavio Tosi ha deciso di farsi cacciare dalla Lega per vari motivi: la distanza dalle posizioni anti-immigrati, anti-Euro e anti-Europa sempre più radicali assunte dal Carroccio, il disaccordo sull'alleanza con l'estrema destra lepenista, la convinzione che sia meglio stare con Alfano (che infatti lo sostiene in Veneto) che con Berlusconi (che appoggia Luca Zaia). Ma soprattutto l'insofferenza verso la leadership di Matteo Salvini che di fatto gli ha precluso la ribalta nazionale. I sondaggi finora sono stati impietosi. Non solo Zaia è destinato a battere Alessandra Moretti, ma anche a surclassare il sindaco di Verona. Tosi eviterebbe la debacle arrivando almeno terzo. Ma il grillino Jacopo Berti potrebbe strappargli la medaglia di bronzo e, a quel punto, il bilancio per lui sarebbe tutto negativo: non solo non sarebbe stato in grado di mettere davvero in difficoltà Zaia, ma nemmeno a far eleggere un numero sufficiente di consiglieri per condizionare la sua maggioranza.


Un voto sulla sinistra dentro e fuori il Pd

L'altro “fuoriuscito”, Luca Pastorino, è l'ex deputato civatiano del Pd che, dopo le contestatissime primarie vinte da Raffaella Paita, ha deciso di abbandonare il suo partito per candidarsi lui stesso alle regionali. Portabandiera della sinistra che si era riconosciuta nella candidatura di Sergio Cofferati (uscito a sua volta dal Pd) e che oggi guarda un po' a Pippo Civati (uscito) e alla sua nuova associazione “Possibile”, un po' a Roberto Speranza, un po' a Maurizio Landini, Pastorino ha sempre detto che la Liguria è il “laboratorio della politica nazionale”. Questo vale ovviamente anche per lui. Nel senso che se riescisse a far perdere la Paita, a costo di passare davvero per il “Bertinotti 2.0” evocato da Matteo Renzi, allora anche a livello nazionale la sinistra anti-renziana avrebbe qualche credibilità. Ma se invece arrivasse solo quarto o quinto e la Paita ce la facesse, allora lui, Civati e gli altri, risulterebbero, anche a livello nazionale, definitivamente irrilevanti.

Un voto su Fitto senza Berlusconi

Anche le ambizioni nazionali di Raffaele Fitto dovranno misurarsi con il risultato che il suo candidato in Puglia, Francesco Schittulli, riuscirà a ottenere domenica. Il risultato minimo è arrivare almeno secondo davanti ad Adriana Poli Bortone, scelta da Forza Italia tra le fila dei Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni rimasti al fianco di Schittulli. Alcuni giorni fa Fitto, l'ennesimo ex delfino di Berlusconi che, dopo Fini e Alfano, se ne va sbattendo la porta quando capisce di non essere annoverato nella cerchia dei possibili eredi e nemmeno in quella dei consiglieri più ascoltati, ha fondato una sua associazione, “Conservatori e Riformisti”. Convinto di essere il Cameron italiano, l'ex governatore pugliese ed ex ministro avrebbe già voluto dare vita a nuovi gruppi parlamentari. Ma non ha ancora trovato un numero sufficiente di senatori e soprattutto di deputati pronti a seguirlo. Anche nella Puglia che considera il suo feudo, Nichi Vendola governa da 10 anni. Se domenica la Poli Bortone dovesse prendere anche un voto in più, per Fitto suonerebbe la campana.

Un voto sul peso di Ncd

Anche per Angelino Alfano, le regionali di domenica prossima dovranno necessariamente essere lette in chiave nazionale. In nessuna delle 7 regioni al voto Ncd ha un suo candidato. In Liguria c'è il forzista Giovanni Toti, in Veneto l'ex leghista Flavio Tosi con la sua fondazione, in Toscana Giovanni Lamioni è un indipendente, nelle Marche Gian Mario Spacca è l'ex Pd di Forza Italia, in Umbria c'è il berlusconiano Claudio Ricci, in Puglia il fittiano Francesco Schittulli, in Campania – come disse lo stesso Alfano quando ancora frenava sull'eventuale appoggio di Ncd - “Caldoro è un uomo dell'ufficio di presidenza di Forza Italia”. Seconda considerazione da fare: tra i candidati che Ncd appoggia, solo Toti, quello più vicino a Silvio Berlusconi, ha reali chance di vittoria. Ammesso pure che Caldoro dovesse spuntarla su De Luca in Campania, Alfano non avrebbe alcuna ragione per intestarsi la vittoria. Da tenere presenti anche le percentuali che Ncd riuscirà a raggiungere. Da tempo il premier Matteo Renzi annuncia un “rimpastino” per dopo le regionali. Attualmente nel governo Ncd ha 2 ministri, 2 viceministri e 6 sottosegretari. Un po' troppi se dovesse andargli male.

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Claudia Daconto