Poteri forti addio, chi sta smontando Monti
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Poteri forti addio, chi sta smontando Monti

La salita in politica, le comparsate tv, i sondaggi scadenti e le giravolte programmatiche (come quella sull’Imu) lo hanno reso «normale». E molti lo stanno lasciando - lo speciale sulle elezioni 2013 -

1 - PASSERA, RICCARDI, MONTEZEMOLO: ORA SI SFILANO TUTTI (PURE L'ECONOMIST)

Dopo gli entusiastici «endorsement» per Mario Monti, se non è una ritirata, poco ci manca. Sondaggi alla mano, i cosiddetti poteri forti, ritenuti a furor di popolo gli iniziali ispiratori dell’agenda del premier, ora tendono a defilarsi. A cominciare da Luca Cordero di Montezemolo, che prima aveva messo il suo motore Ferrari a disposizione del premier, annunciando più volte anche una sua possibile candidatura, poi si è tirato indietro e infine, al momento di formare le liste, se n’è andato alle Maldive, lasciando il povero Monti di fronte ai problemi di Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini.

E il tecnico del Vaticano Andrea Riccardi? Alla convention montezemoliana del novembre scorso aveva già in testa l’aureola del vice Monti, dicendosi pronto a un impegno diretto. Adesso, invece, anche lui preferisce rimanere dietro le linee.

E il tecnico laico Corrado Passera? Più di 12 mesi or sono, mentre si faceva la barba, ricevette per telefono l’invito a entrare nel governo: disse sì in una frazione di secondo. Ora, dopo averlo spinto alla «salita in politica», ne ha preso le distanze pubblicamente dicendo al Corriere che la sua agenda «così non va» e si è proposto come «riserva della Repubblica» per il dopo elezioni.

E l’uomo del salotto buono milanese, Guido Rossi? «La politica non può ridursi a un’agenda» lo ha liquidato.

Anche l’amico d’infanzia Eugenio Scalfari ha dovuto spiegare perché «Monti mi ha deluso». Per non dire delle perplessità all’estero, dove il gradimento del premier, giurano, è alle stelle. L’Economist, organo per eccellenza dei poteri forti anglosassoni, neppure 20 giorni dopo il suo endorsement, ha scritto che il modo un po’ maldestro in cui il Professore ha gestito la sua candidatura fa crollare le possibilità che torni al governo: «A muddle» ha definito le sue liste. Un guazzabuglio.
(Giovanni Fasanella)

2 - E ORA SPUNTA BOMBASSEI

La guerra elettorale si combatte sempre di più nel campo economico. All’ex direttore della Confindustria Giampaolo Galli candidato dal Pd, Mario Monti risponde con Alberto Bombassei, sconfitto da Giorgio Squinzi nella corsa al vertice confindustriale. Nella lista alla Camera il premier comprenderà anche Carlo Pontecorvo, proprietario della Ferrarelle e presidente di Italia futura Campania, e Ilaria Borletti Buitoni, presidente del Fai, Fondo per l’ambiente. Nel listone montiano al Senato, invece, Pier Ferdinando Casini inserirà il presidente della Confcooperative, Luigi Marino, l’ex presidente della Confartigianato Giorgio Guerrini e il generale Domenico Rossi, sottocapo di stato maggiore dell’Esercito.

3 - L'ENDORSEMENT VATICANO VAL BENE UNA MESSA, MA NON PORTA VOTI

«Endorsement, che passione»! Cei e Vaticano non sono nuovi a sostegni preelettorali, più o meno espliciti. Quello a favore di Mario Monti è solo l’ultimo di una lunga serie che ha contrassegnato decenni di storia repubblicana. Ma non sempre l’appoggio della Chiesa ha fatto la fortuna dei candidati, anzi. Nel 1987 ci furono gli appelli all’unità politica dei cattolici in favore del segretario della Dc, Ciriaco De Mita, opposto al leader del Psi, Bettino Craxi, ma alle urne i socialisti ottennero il loro maggior successo dal 1958. Elezioni 1992: il cardinale Camillo Ruini, neopresidente della Cei, richiama i fedeli a sostenere compatti lo scudocrociato guidato da Arnaldo Forlani. Risultato: la Dc va al minimo storico e il segretario è sconfitto anche nella corsa al Quirinale. In piena bufera di Tangentopoli, la Cei sostiene Mino Martinazzoli che cerca di tenere insieme la Dc ormai in pezzi.

Nulla da fare: lo scudocrociato si scioglie e nelle elezioni del 1994 il «patto per l’Italia» di Martinazzoli e Mario Segni, nonostante l’appoggio della Chiesa, ottiene solo un pugno di voti. Nel 1995 la guerra tra ex democristiani contrappone il segretario del Ppi, Rocco Buttiglione, deciso ad allearsi con il centrodestra, e la sinistra del partito raccolta intorno a Gerardo Bianco. I sacri palazzi scelgono Buttiglione. Ma l’esponente ciellino va in minoranza e finisce per staccarsi, fondando il Cdu. Da quel momento la Cei gioca in proprio: Ruini tratta in prima persona con i partiti. Si arriva così alle elezioni del 2008: il direttore dell’Avvenire, Dino Boffo, invita Pier Ferdinando Casini a non rompere l’alleanza con Silvio Berlusconi. Ma il leader dell’Udc va per la sua strada. Il resto è cronaca degli ultimi mesi. (Ignazio Ingrao)

4 -TONIATO, L'UOMO INVISIBILE È DIVENTATO VISIBILE. ANCHE TROPPO

Non twitta. Non è su Facebook. Nessuno lo ha mai visto mettere piede in un salotto o tantomeno sorridere in pubblico. Ma, nonostante i suoi sforzi per raggiungere la più completa invisibilità, Federico Silvio Toniato, 37 anni, vicesegretario generale di Palazzo Chigi, in questi giorni è tutto fuorché invisibile. Per forza: da 14 mesi è l’ombra di Mario Monti. E, da brillante ma ignoto funzionario del Senato, si è rivelato l’atout del governo tecnico: il tessitore delle relazioni con il Vaticano, lo stratega dell’accordo sull’Imu, l’ecumenico mediatore (l’«uomo del balsamo» pare lo chiami Monti) con Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini. Un Gianni Letta reloaded, insomma.

Ma, a differenza di quello, non fa vita mondana e porta i figli a scuola su una vecchia utilitaria. Praticamente una leggenda. Ma oggi c’è un guaio.

Toniato è così centrale per Monti da suscitare il sospetto che proprio lui sia lo scrematore segreto, insieme con Enrico Bondi, delle prossime candidature in quota premier; che sempre a lui, con l’ex ministro Enzo Moavero, sia addirittura affidata la compilazione delle liste. Da qui le bacchettate: il Pd è arrivato addirittura ad avvertirlo che sarebbe «sconveniente», per un funzionario dello Stato, gestire la nascita di una formazione politica. Dicono che il giovane ci sia rimasto malissimo. «Io della lista Monti non mi occupo minimamente» ha giurato agli amici, garantendo che non ha «nessuna intenzione» di candidarsi. Così, per sopire le polemiche, ogni volta che Monti ha un incontro politico, il suo uomo ombra ci tiene oggi a farsi vedere altrove; e preferibilmente al Senato, dove dovrebbe rientrare dopo le elezioni. Ma attenzione al «dovrebbe». Perché Toniato da Onara, provincia di Padova, gradito a Mario Monti come a Nichi Vendola, al cardinale Tarcisio Bertone come a Emma Bonino, praticamente un miracolo, in futuro potrebbe tornarci, a Palazzo Chigi. E stavolta come segretario generale. (L.M.)

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