Sono passati ventinove anni dall’arresto di Enzo Tortora
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Sono passati ventinove anni dall’arresto di Enzo Tortora

Questa “Giustizia” può colpire anche te. Sono passati ventinove anni da quel 17 giugno 1983 quando il popolare conduttore di Portobello viene svegliato alle quattro e un quarto del mattino. Bussano alla porta della camera dell’hotel romano dove Tortora riposa, …Leggi tutto


Questa “Giustizia” può colpire anche te.

Sono passati ventinove anni da quel 17 giugno 1983 quando il popolare conduttore di Portobello viene svegliato alle quattro e un quarto del mattino. Bussano alla porta della camera dell’hotel romano dove Tortora riposa, i carabinieri, che da lì lo conducono alla sede del nucleo operativo di via In Selci. Lì gli viene notificato l’ordine d’arresto. “Ma per cosa?”, domanda Tortora. “Non lo sappiamo”, gli rispondono. Segue l’attesa surreale fino a mezzogiorno. Perché? Tutto è studiato ad arte per spettacolarizzare la caduta dell’uomo. Dall’Olimpo Rai a Regina Coeli. Il cellulare è stato posteggiato dall’altra parte della strada. Fotografi e teleoperatori sono pronti a catturare l’immagine, a fissare nel tempo quei pochi istanti destinati a creare un mostro. Il mostro che non c’è.

Il camorrista ad honorem trascorre un anno e 33 giorni in carcerazione preventiva. Alla fine riesce a difendersi, a scrollarsi di dosso le ingiuriose accuse e a non perdere la fiducia del suo pubblico. Dopo una condanna in primo grado fondata esclusivamente sulle dichiarazioni di alcuni pentiti, la sentenza d’appello nel settembre del 1986 lo assolve con formula piena. Il 20 febbraio 1987 Tortora torna a salutare il suo pubblico con la celebre frase: “Dunque, dove eravamo rimasti?”. Colui che non sarebbe mai dovuto andar via.

Dell’operazione Tempesta, questo il nome della maxiretata che risucchiò l’esistenza di Tortora insieme a quella di oltre 850 persone – il tutto sulla base delle dichiarazioni dei pentiti -, sono rimaste le ceneri. Macroscopici errori investigativi, persino casi di omonimia, trassero dietro le sbarre centinaia di persone poi prosciolte o assolte. Per tutto questo nessun magistrato ha mai pagato. Perché in Italia i magistrati non pagano.

Nel dicembre 1994 il magistrato Clementina Forleo assolve Melluso, il pentito che allora continuava a sostenere la colpevolezza di Tortora e che poi nel 2010 ha ammesso di di aver mentito. La famiglia del conduttore di Portobello lo querela per diffamazione aggravata e la Forleo lo assolve aggiungendo: “L’assoluzione di Enzo Tortora rappresenta in realtà soltanto la verità processuale e non anche la verità reale del fatto storicamente accaduto”. Avete capito bene:  Tortora, assolto in appello e in Cassazione, poteva essere stato un camorrista perché, a detta della Forleo, un conto sono i tribunali, un conto sono i fatti. Poco conta la viltà di chi uccide un uomo morto.

 

 

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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