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“Partiti spa” e tutti gli sprechi della casta

Denunciare i costi della politica senza peccar di grillinismo si può. Ce lo dimostra “Partiti spa”, il libro inchiesta sugli affari e il malaffare dei partiti italiani. Il giornalista Paolo Bracalini ispeziona attentamente i bilanci dei partiti, perlustra le …Leggi tutto

E' ancora polemica sui rimborsi elettorali ai partiti (Credits: Mauro Scrobogna / LaPresse)

E' ancora polemica sui rimborsi elettorali ai partiti (Credits: Mauro Scrobogna / LaPresse)

Denunciare i costi della politica senza peccar di grillinismo si può. Ce lo dimostra “Partiti spa”, il libro inchiesta sugli affari e il malaffare dei partiti italiani. Il giornalista Paolo Bracalini ispeziona attentamente i bilanci dei partiti, perlustra le loro casseforti…e il quadro che ne viene fuori è allarmante.

Partiti come tante società per azioni, idrovore che assorbono finanziamenti, possiedono immobili e spendono milioni di euro in modo a dir poco misterioso. A differenza delle spa, i partiti sono soggetti a un controllo tutt’al più formale sui loro rendiconti; la Corte dei Conti e il Collegio dei Revisori della Camera hanno le armi spuntate per legge, cosa che non stupisce dato che le regole i partiti se le scrivono da soli.

“Partiti spa” racconta innumerevoli episodi alquanto curiosi di “magagna” più o meno sospetta, incroci bizzarri tra partiti e banche, investimenti bizzarri come quelli nel gioco d’azzardo, dove esiste un bingo dalemiano, un bingo leghista…e gli insondabili collegamenti tra il partito di Fini e la multinazionale del gioco Atlantis – Bplus. Quando c’è odore di guadagno la corazzata partitocratica non si fa attendere.

Di soldi i partiti ne pigliano tanti, troppi. Nel ’93 il referendum radicale per l’abolizione del finanziamento pubblico raccolse oltre il 90% di voti favorevoli. Quale fu la risposta politica? Una bella leggina per aggirare l’esito della consultazione popolare e reintrodurre il finanziamento pubblico sotto le mentite spoglie del “rimborso elettorale”. Cosicché, dal ’94 ad oggi, a fronte di un totale di spese elettorali dichiarate pari a 579 milioni di euro i partiti ne hanno intascati 3 miliardi! Lo “spread” calcolatelo voi.

“Creare un partitino in Italia è diventato più conveniente che aprire un’azienda”, afferma provocatoriamente Bracalini. Niente lacci e lacciuoli burocratici, niente fisco guardingo. Basta mettere su una squadra, registrare un simbolo e poi con l’1% dei suffragi e nessun eletto si accede ai lauti soldi pubblici. Così, mentre i contribuenti italiani continuano a sussidiarizzare partiti che neppure esistono in Parlamento, le fondazioni politiche proliferano (più di 80 nel giro di pochi anni) e Massimo D’Alema si trasforma nel paladino della privacy dei loro finanziatori: il non obbligo di pubblicità previsto per chi finanzia una fondazione è sacrosanto e va preservato, ohibò.

Nel Regno Unito e ancor più negli Stati Uniti la politica si regge principalmente sui contributi dei privati, di quanti decidono liberamente di investire in un progetto, e per farlo devono dichiarare fino all’ultimo obolo versato. Tutto pubblico, nessuna opacità. In una democrazia liberale non esiste un fantomatico “diritto alla politica”, la politica la fa chi riesce a trovare chi lo finanzi. Nel RU, per esempio, lo Stato finanzia esclusivamente i partiti di opposizione perché si ritiene che quelli di maggioranza godano di vantaggi oggettivi derivanti dalla loro posizione, e comunque quei finanziamenti sono bruscolini rispetto agli ingenti flussi di denaro del Belpaese.

E dire che non è stato sempre così. Fino alla Legge Piccoli del 1974 in Italia i partiti si reggevano sulle proprie gambe (e sui finanziamenti esteri nel mondo bipolare). Dci e Pci introdussero il finanziamento pubblico malvolentieri ben consapevoli che questo avrebbe comportato un’intrusione dello Stato nelle loro faccende contabili…e i partiti erano e restano per Costituzione “associazioni private”, ma con i piedi ben piantati nelle finanze pubbliche.

A dieci anni da Tangentopoli una domanda possiamo porla. Agli inizi degli anni ’90 un’intera classe politica fu tagliata via con l’accetta giudiziaria in nome della crociata contro le mazzette. Dopo dieci anni e una mastodontica iniezione di denaro pubblico siamo ancora qui a discettare stancamente di mazzette. In altre parole il finanziamento pubblico è andato ad aggiungersi (mai a sostituirsi) a quello reperito dagli insaziabili partiti in modo irregolare o illegale. A questo punto potremmo decidere di farne a meno una volta per tutte, non credete? Contro quella tassa occulta chiamata “corruzione” volete attendere l’arrivo di un nuovo Demiurgo togato oppure è giunto il momento di porre mano a una riforma seria che renda il finanziamento privato l’unico possibile in un regime trasparente di controllo effettivo? Voglio dire, di Tonino ce ne basta uno. Non siate masochisti.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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