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Bonev e le pentite del bunga bunga

Questa volta le vagine non hanno straripato. “La Pascale è lesbica. Io sono stata con lei. Non una volta. Avevamo una relazione”. E parlo ora perché “sono preoccupata per il popolo italiano”. Pensavamo di averle viste tutte, da Nadia Macrì …Leggi tutto

Questa volta le vagine non hanno straripato. “La Pascale è lesbica. Io sono stata con lei. Non una volta. Avevamo una relazione”. E parlo ora perché “sono preoccupata per il popolo italiano”. Pensavamo di averle viste tutte, da Nadia Macrì in poi. Ci sbagliavamo. Ormai, al fianco dei collaboratori di giustizia nei processi mafiosi, si insinua una nuova patologia: le collaboratrici di ingiustizia. Una nuova specie di pentitismo puttanesco che vomita contumelie e lacera la privacy altrui ai fini della personale Redenzione in diretta tv. Loro non si ravvedono nel foro interiore della propria coscienza, no. Nel loro caso, la Redenzione deve compiersi a favore di telecamera, preferibilmente spalleggiati da un Travaglio qualsiasi. Dopo il porno processo con le sue udienze ad alto tasso di eccitazione, adesso ci masturbiamo con la porno Redenzione.

Protagonista, suo malgrado, di una fantasiosa messinscena, a metà tra una commedia boccaccesca e una telenovela sudamericana, una ragazza, con nome e volto ben identificati, ha assistito alla lapidazione mediatica della propria vita privata, privatissima. Inerme, davanti allo schermo, con il telecomando in mano. E’ il prezzo da pagare per la porno Redenzione altrui, bellezza. E dalle vagine di casa nostra? Silenzio, neppure un sussulto di indignazione. “I monologhi della vagina” si sono trasformati di colpo in profondissimi silenzi, con buona pace di Eve Ensler. Nessuna delle nostre donne d’intelletto ha avuto qualcosa da ridire per il fatto che la sfera sessuale di un esemplare femminile, la cui unica colpa è quella di essersi unita al Grande Bersagliato, sia stata scandagliata ai raggi X in diretta televisiva. Il tubo catodico erotizzato ha fatto strame del diritto alla privacy, alla reputazione, alla libertà personale, con l’unico obiettivo di vilipendere lei per colpire lui. Le illazioni di una persona, sulla cui credibilità sarebbe superfluo pronunciarsi, hanno marcato il de profundis di ogni barlume residuo di civiltà. Sia chiaro: essere lesbiche non è reato. Ma l’outing per conto terzi è una boiata pazzesca. Brandire i presunti gusti sessuali altrui come un’arma contundente per elargire marchi di infamia desta ribrezzo.

Ve li ricordate gli anatemi delle senonoraquandiste contro i violentatori della dignità femminile? Persino una farfallina le aveva mandate su tutte le furie. Stavolta invece nessuna delle pasdaran nostrane ha speso una parola per dire che la lapidazione mediatica di una donna per le sue presunte inclinazioni sessuali è semplicemente ributtante. E’ toccato ad un maschietto, il segretario nazionale dell’Ordine dei giornalisti, ricordare che le regole poste a tutela della privacy valgono per tutti, “non solo per le amiche”, e che non esistono “donne di serie A e donne di serie B”. Parole sante, ma avremmo voluto sentirle, che so io, dalla voce roca di Monica Guerritore che nel 2009, in pieno caos Noemi, interpretava Veronica Lario in controluce:  “Devo dare alle mie figlie l’esempio di una donna che sa tutelare la propria dignità. Voglio aiutare mio figlio a mettere il rispetto delle donne tra i valori fondamentali”. Ma la “dignità delle donne”, signora Guerritore, vale ad intermittenza, soltanto quando conviene?

Che il veterofemminismo delle senonoraquandiste fosse un tantino peloso, più gauchista che emancipatore, ne avevamo avuto un vago sentore. Vi ricordate i cortei del febbraio 2011? I cartelli più tiepidi invocavano la Rossa Giustiziera, quella della “furbizia orientale”, e poi ancora “Veronica è libera. Ora tocca a noi”. Ecco, qualche dubbio c’era venuto, lo confessiamo. Le senonoraquandiste non avevano fiatato neanche di fronte alla fanfara dei porno processi celebrati a colpi di domande scabrose sul pizzo delle mutandine e sulle penetrazioni vere o immaginarie. Una trentina di ragazze che in qualità di semplici testimoni, per il sol fatto di collaborare con la giustizia, senza essere imputate di alcunché, sono state massicciamente intercettate, pedinate e distrutte nella loro reputazione, senza tanti riguardi di garantismo giudiziario e mediatico. Ecco, anche in quell’occasione l’intellighenzia rosa italiana non aveva battuto ciglio. Adesso che il copione si  ripete, ritorna l’interrogativo sulla sorte delle nostre desaparecidas. Un pensiero corre a Michela Marzano: dov’è finita la filosofa che dalle piazze senonoraquandiste è approdata al seggio democratico in Parlamento? Per lanciare l’incontro senese dell’“ormai celebre movimento Se non ora quando?” nel 2011, sulle colonne di Repubblica la Marzano scomodava persino Olympe de Gouges, l’eroina francese martirizzata due anni dopo la pubblicazione della prima “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” nel 1791. E’ sparita pure la regista Cristina Comencini, che soffriva in particolare la rappresentazione mediatica della donna: “mi offende”, disse sbrigativamente (salvo poi esultare con una recente letterina al Corrierone nazionale per la legge contro il femminicidio perché finalmente “le donne  vedono riconosciuta la loro cittadinanza anche dentro casa”, oltre l’uscio insomma). Non ha scritto un rigo Concita de Gregorio, che nel 2011 dirigeva L’Unità e fu una incontenibile animatrice della campagna per le donne, con le donne. “Tutte le Rivoluzioni, in tutti i Paesi, in tutti i secoli sono nate dalle donne”, urlava in piazza. Adesso tace. Non ha impugnato la penna acuminata neppure Natalia Aspesi, che invece, quando il magma antiberlusconiano ribolliva, ricambiava amorosamente “contro quel tragico bunga bunga che ha cancellato la nostra dignità di italiani”. Bel concetto la dignità, il cui valore è inversamente proporzionale alla distanza da Berlusconi: più gli sei vicino e meno sei degna. Se gli sei nemica, diventi degnissima, trabocchi di dignità. Il doppiopesismo pseudofemminista non lascia scampo. Chissà se Lucrezia Lante della Rovere si eserciterà in una delle sue vibranti interpretazioni. Ve la ricordate da Gad Lerner? Fece scalpore la sua recitazione nei panni di una giovane precaria, puttana “che non si ama molto”. Stavolta ha taciuto persino la Presidentissima Laura Boldrini. Voi direte: una volta tanto. Invece noi ci siamo preoccupati, ma poi abbiamo capito. Lei è una pronta a tutto per difendere la dignità delle donne, mica pinzillacchere. Lei è disposta a censurare Miss Italia, a censurare la pubblicità, a censurare le mamme che scodellano a tavola. “E’ inaccettabile che in questo Paese ogni prodotto, dallo yogurt al dentifricio, sia veicolato attraverso il corpo della donna”. Nell’attesa di assumere tutti quanti un filippino-veicolatore, lei ha calcolato che “solo il 2% delle donne in tv esprime pareri, parla” mentre “il resto è muto, a volte svestito”. Per questo la Presidentissima ci esorta vivamente a parlare in televisione, sempre e comunque, tutte le volte che possiamo. Anche a costo di sparare cazzate o contumelie, non importa. Lei dà il buon esempio. Parlate, parlate, parlate. A fine mandato, se l’è ripromesso, la percentuale deve almeno raddoppiare.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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