A L’Aquila 6 anni per 309 morti. I conti non tornano
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A L’Aquila 6 anni per 309 morti. I conti non tornano

Una condanna esemplare, chissà. I pm avevano chiesto quattro anni di carcere, il giudice ne ha comminati sei. Gli imputati sono i sette scienziati italiani componenti della Commissione Grandi Rischi ai tempi del terremoto de L’Aquila, eccellenze nel campo della …Leggi tutto

Una condanna esemplare, chissà. I pm avevano chiesto quattro anni di carcere, il giudice ne ha comminati sei. Gli imputati sono i sette scienziati italiani componenti della Commissione Grandi Rischi ai tempi del terremoto de L’Aquila, eccellenze nel campo della sismologia accusate di aver rassicurato la popolazione locale. Ovvero di non aver previsto l’imprevedibile.

Il processo aquilano lo hanno seguito i media di mezzo mondo. Com’è possibile che in Italia degli scienziati, dei tecnici siano trattati come criminali, messi alla gogna e spediti in carcere? In Italia è possibile.

Va detto che la comunità scientifica internazionale è concorde su un fatto: i terremoti non si possono prevedere. Se ne possono prevedere gli effetti in una data zona, questo sì, e in ragione di tali previsioni nelle zone a rischio le costruzioni dovrebbero rispondere a severi standard di sicurezza, del tipo giapponese, per intenderci, non certo aquilano. Invece nel Belpaese, anziché occuparci di questo assegnando alla politica le sue passate e presenti responsabilità, ce la prendiamo con gli scienziati che al termine di una riunione cinque giorni prima della scossa fatale non emisero un comunicato per invitare al fuggi fuggi generale. E’ vero, non lo fecero, dal verbale compilato successivamente al terremoto Enzo Boschi, all’epoca presidente dell’Istituto nazionale di vulcanologia, definiva “improbabile” una scossa come quella del 1703 “pur se non si può escludere in maniera assoluta”. Per Barberi, presidente vicario della Commissione, “una sequenza di scosse di bassa magnitudo” non può “essere considerata precursore di un forte evento”. Se avessero avuto una sfera di cristallo, non si sarebbero certamente espressi così. Ma in mancanza di essa e allo stato delle conoscenze attuali, gli scienziati si limitarono a valutare il rischio per quel che sapevano e che potevano sapere.

I colleghi stranieri non hanno mancato in questi anni di far sentire la vicinanza ai “capri espiatori” italiani. Hanno firmato appelli, scritto articoli, pubblicato studi scientifici a conferma che dei terremoti si può prevedere il dove e la magnitudo, ma non il quando. Uno sciame sismico non prelude necessariamente a una scossa fatale. Anche ora, mentre leggete, in alcune zone italiane si susseguono scosse continue di varia intensità. Dovremmo per questo ordinare un’evacuazione permanente della popolazione? Se qualcuno lo facesse, sarebbe probabilmente denunciato per procurato allarme. E’ accaduto anche nella vicenda aquilana allo scienziato Giampaolo Giuliani, quello del gas radon.

Ancora una volta il resto del mondo guarda sbigottito all’Italia, dove la politica non risponde, e la scienza viene processata e condannata. Ancora una volta si infonde un finto senso di giustizia ai parenti, tanti, la cui vita è cambiata per sempre a seguito di quella scossa estrema. Fatale quanto imprevedibile. Al giudice giustiziere una domanda vorremmo porla: 309 vite spezzate, o anche soltanto quelle 37 oggetto del processo, valgono in tutto 6 anni di carcere? Non c’è che dire, in questo guazzabuglio che chiamano “giustizia” i conti non tornano, per nessuno.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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