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ANSA/ANGELO CARCONI
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Scissione Pd: la cronaca

Le posizioni di Renzi, di Emiliano, di Orlando. Tempi e modalità di una crisi trasformata in caos

21 febbraio - IL PUNTO -

La scissione è compiuta. Si consuma senza guardarsi in faccia la rottura dentro il Pd: i bersaniani non partecipano alla direzione e annunciano con Roberto Speranza di essere al lavoro "per un nuovo soggetto di centrosinistra", Matteo Renzi vola in California, convinto che "peggio delle scissioni ci sono i ricatti". Chi, invece, dopo varie titubanze, decide di restare nel Pd e di sfidare al congresso il leader dimissionario è Michele Emiliano che prende un'altra strada rispetto alla minoranza "perchè il Pd è casa mia e nessuno puo' cacciarmi".

Una casa che il fondatore Romano Prodi guarda ormai da lontano assistendo a quello che definisce "un suicidio politico" Da oggi il Pd cambierà volto (con un ex segretario e storico protagonista della sinistra di governo come Pierluigi Bersani che annuncia che non rinnoverà la tessera Pd) anche se i numeri degli addii saranno inferiori a quelli che sembravano domenica scorsa.

I bersaniani già giovedì formeranno gruppi autonomi sia alla Camera sia al Senato non capendo la scelta di Emiliano di "candidarsi nel Pdr", il partito di Renzi. Con l'invito, di D'Alema a Pisapia a "lavorare insieme". La decisione tormentata del governatore pugliese matura tra ieri notte e oggi dopo una serie no-stop di telefonate frenetiche e di riunioni. In direzione Emiliano arriva senza più credere che gli ultimi tentativi di mediazione vadano in porto. Addolorato per la rottura con Roberto Speranza ed Enrico Rossi, "persone perbene, di grande spessore umano che sono state offese e bastonate dal cocciuto rifiuto ad ogni mediazione". Perchè, rimanda la palla nel campo avverso, "Renzi è il più soddisfatto per ogni possibile scissione".

Ma siccome "chi lotta può perdere ma chi non lotta ha già perso", il governatore pugliese decide di "dare battaglia come il Che" al fortino renziano. Una scelta che però gli attira le dure critiche di Bersani e D'Alema ("farà i conti con la sua coerenza") e Enrico Rossi ("ognuno ha il suo modo di comportarsi") con l'ex segretario che in serata a DiMartedì non risparmia un attacco neppure a Renzi confessando: "con lui ho capito dal primo giorno che non mi sarei mai preso" accusandolo poi di aver deciso le dimissioni "per salvare se stesso mettendo a rischio la Ditta".

Una Ditta che Bersani vede di nuovo in campo con l'iniziativa degli scissionisti e che, assieme a D'Alema, lo vedranno lottare per ricostruire una 'cosa rossa'. Ma la cui leadership, dice l'ex premier a Cartabianca, "non può essere nè di D'Alema nè di Bersani. Noi ci saremo", ma "in questo momento i leader naturali sono Enrico Rossi e Roberto Speranza". Nell'altro campo, quello del Pd, anche se non ha ancora tratto il dado, è il Guardasigilli Andrea Orlando che oggi lancia il suo blog Stato presente.

E chiarisce che la sua candidatura non dipende dalle scelte di altri sfidanti, come a dire che non sarà la discesa in campo di Emiliano a bloccare la sua corsa. "Non mi candido - chiarisce Orlando - a guidare l'opposizione del Pd se mi candido è per guidare il partito". Una sfida che, anche senza la sinistra interna, si annuncia senza sconti e che Matteo Renzi affronterà con l'obiettivo di riaffezionare militanti e iscritti dopo lo choc della rottura. "Gli addii addolorano ma non possiamo bloccare oltre la discussione nel Pd e nel paese", sostiene il leader dimissionario che trascorrera' qualche giorno negli States. Prima di buttarsi nella battaglia che, secondo i suoi piani, il 7 maggio lo legittimerà di nuovo come segretario. Oggi la direzione ha eletto i membri della commissione Statuto, composta in rappresentanza di tutte le correnti e che definira' nei prossimi giorni le regole. Per bloccare la scissione a nulla sono serviti gli appelli accorati dei padri nobili del Pd, nè di Veltroni nè di Fassino in assemblea, nè di Enrico Letta e oggi quello di Romano Prodi che ha confessato la sua angoscia e il fatto di essersi attivato con decine di telefonate per scongiurare il peggio.

20 febbraio

Non c'è più nessuna trattativa possibile: il congresso del Pd è avviato, domani la direzione nominerà la commissione incaricata di gestire il percorso. Le primarie saranno "ad aprile". Il segretario vorrebbe il 9 aprile ma se Orlando e Franceschini lo chiederanno si potrebbe arrivare al 7 maggio, non oltre, per chiudere presto la discussione interna e fare la campagna per le amministrative. E Matteo Renzi domani non parlerà, anzi neanche parteciperà, perchè - spiegano i suoi - si è ormai dimesso da segretario.

Gli altri (oltre Renzi)
Sono Michele Emiliano, Roberto Speranza ed Enrico Rossi - dicono i renziani - a dover decidere se sfidare Renzi nelle primarie di primavera oppure uscire dal partito. Speranza, che guida i bersaniani, e Rossi non andranno alla direzione e hanno più di un piede fuori. Emiliano viene descritto come ancora incerto: i renziani non escludono ripensamenti.

Nel Pd è il caos. Continuano le notizie di creazione di minoranze nella maggioranza, minoranze nella minoranza, di movimenti nei movimenti, di scissioni tra gli scissi.

Un esempio: una riunione, ieri sera, tra Andrea Orlando, Gianni Cuperlo e Cesare Damiano ha sancito, a quanto si apprende, la nascita di una nuova area dentro il Pd. I tre esponenti ex ds, che ieri in assemblea hanno caratterizzato i loro interventi all'insegna dell'unità del partito e dell'equidistanza, si sono trovati d'accordo, nella riunione, sulla necessità di un'area larga che avanzi una proposta politica nuova per rifondare il Pd. Dunque una fronda alternativa a Renzi ma nella maggioranza.

Nel frattempo Michele Emiliano, Roberto Speranza e Enrico Rossi, espressione della fronda principale della minoranza dem, a chiusura della giornata di ieri, hanno emesso un comunicato in cui sostengono di aver portato avanti un "ennesimo generoso tentativo unitario... purtroppo caduto nel nulla... È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi così una responsabilità gravissima". Salvo però rilasciare dichiarazioni alla stampa in cui (Emiliano) sostiene di tenere "fino a martedì le mani libere, lavoro fino alla fine per un'intesa".

"Guardo attonito al cupio dissolvi del Pd. Non può, non deve finire cosi'", scrive su Facebook Enrico Letta, rompendo un lungo silenzio sulle questioni del partito. Non cita Renzi, ma appare chiaro che si riferisce a lui quando invoca che "generosità e ragionevolezza" prevalgano su "logiche di potere". Perchè ricorda che proprio tre anni fa fu costretto a lasciare Palazzo Chigi con "sgomento solitario": "Oggi sento la stessa angoscia collettiva di tanti che si sentono traditi e sperano che non sia vero. Mai avrei pensato 3 anni dopo a una simile parabola".

Intanto a gestire la transizione ci sarà Matteo Orfini, ma sarebbe da definire se sarà lui a guidare la commissione che fisserà regole e date del congresso: l'organismo sarà ufficializzato domani in direzione e dentro ci saranno rappresentanti delle diverse componenti, si attende solo di sapere se ci sarà anche un rappresentante di Emiliano.

E il governo?
La finestra del voto a giugno è di fatto chiusa e Renzi ha ribadito sostegno a Gentiloni. Ma certo, osservano i renziani, se dopo la scissione la sinistra si mettesse di traverso in Parlamento potrebbe assumersi la responsabilità di far cadere il governo: la linea dell'esecutivo non si farà condizionare dagli 'scissionisti', affermano, se servirà sui singoli provvedimenti sara' messa la fiducia. Anche un mediatore speranzoso come Gianni Cuperlo, si arrende intanto all'evidenza: domani è "probabile" venga ufficializzata la scissione.

Del resto il presidente della Toscana Rossi già ha annunciato che restituirà la tessera del Pd, accusa Renzi di aver "bastonato" la minoranza e guarda avanti, ai nuovi gruppi parlamentari che "sosterranno il governo". Anche le parole di Speranza sono definitive: "Renzi rompe il Pd, non ci sono le condizioni per stare nel congresso". Massimo D'Alema nega di essere l'artefice della scissione e attacca: "Occorre una svolta radicale nel centrosinistra perchè il Pd ha perso il suo popolo". Per la rottura formale, si aspetta solo Emiliano.

Gli uomini vicini al governatore spingono per restare, Francesco Boccia invoca per tutto il giorno un'apertura, ma in assenza di segnali domani al massimo il passo formale sarà compiuto. "Se la mia candidatura è in grado di far ripensare chi ha preso la strada della scissione io sono in campo, più importante di noi è il destino del Pd", dice intanto il ministro Andrea Orlando che potrebbe garantire la candidatura. Ma la partita delle candidature congressuali è appena iniziata.

La cronaca dell'Assemblea: 19 febbraio 2017
Alla fine di una giornata convulsa, con un gioco al cerino tra le due anime ormai sempre più lontane, la scissione è a un passo dal concludersi. Il congresso si farà ma i tre ormai ex sfidanti di Renzi Roberto Speranza, Michele Emiliano e Enrico Rossi non saranno della partita. "Abbiamo atteso invano delle risposte, è ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione", strappa la minoranza.

Ma il leader guarda già avanti perchè "peggio della scissione ci sono solo i ricatti e il Pd non puo' stare fermo" negli scontri interni. Che Renzi non abbia alcuna intenzione di rinviare la resa dei conti interna si capisce appena, nella sala dell'hotel Parco dei Principi, davanti ai 637 delegati, Matteo Orfini annuncia che il segretario ha presentato le dimissioni.

Un atto formale che prelude al discorso, senza appigli per la minoranza, che farà l'ex premier: "Fuori ci prendono per matti, discutiamo ma poi rimettiamoci in cammino", è l'appello di Renzi che sostiene di aver fatto di tutto per tenere unito il partito e di "soffrire" quando sente la parola scissione. Ma, chiarisce, "peggio della scissione c'è solo la parola ricatto, non si puo' bloccare un partito sulla base dei diktat della minoranza"

Nè il leader Pd dice di avere intenzione di cedere "il copyright della sinistra" ad altri men che meno alla minoranza che ieri, al teatro Vittoria, cantava Bandiera Rossa. "Sinistra non è come chi dice 'capotavola è dove siedo io'", è la frecciata a Massimo D'Alema, grande assente dell'assemblea e ormai gia' lontano dal Pd.

E proprio per dimostrare che la sinistra, comunque andrà, resterà, secondo i renziani, nel Pd, sfilano sul palco i fedelissimi che vengono dalla storia del Pci: Teresa Bellanova, Piero Fassino, Maurizio Martina, Claudio De Vincenti. Da quella storia viene anche Walter Veltroni che parla da padre nobile del Pd e torna in assemblea solo per la drammaticita' del momento: "Ai compagni dico che il Pd ha bisogno di voi", dice il primo segretario dem che ricorda i danni di una sinistra che divisa "ha fatto male a se' stessa e al paese" e scongiura un ritorno a Ds-Margherita, "un ritorno al passato e non il futuro".

Ma la minoranza non ascolta la mozione degli affetti. Manda sul palco Guglielmo Epifani in rappresentanza dei tre candidati a rilanciare la palla nel campo di Renzi: "Noi ci aspettavamo una proposta, il segretario ha tirato dritto, ora faremo delle scelte".

LA MINORANZA: 48 ore e poi basta
Si sono dati un limite ultimo, Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza. Ancora 48 ore per appurare se Matteo Renzi è disposto a fare "una mossa politica vera" per scongiurare la scissione. Se cosi' non sara', si tireranno fuori dal percorso congressuale. E quello sara' il segnale: via all'uscita dai gruppi parlamentari e alla costituente di un nuovo partito della sinistra.

Ormai, osservano i bersaniani, e' solo una formalita': in assemblea non e' arrivato da Renzi nessun segnale, neanche uno spiraglio di apertura. E pure Emiliano - il piu' restio a lasciare, il piu' disposto a fare un passo indietro per un accordo - in serata e' pessimista e in una nota congiunta con Speranza e Rossi punta il dito contro Renzi: la scissione la vuole lui.

I tre provano a stare uniti. Nel primo pomeriggio Pier Luigi Bersani va via dall'assemblea Pd, dopo aver rilasciato un'intervista tv: "Non usciamo dalla sala con le bandiere rosse in mano, non sono scelte che si affrontano a cuor leggero", si rammarica. "Il segretario ha alzato un muro, vuol fare un congresso cotto e mangiato in tre mesi dove non sara' possibile discutere. Ma aspettiamo la sua replica", dice.

La replica non arrivera' mai (Renzi si e' dimesso da segretario, perche' dovrebbe?, spiegano dal Nazareno). E neanche l'apertura chiesta. Ma il turbamento della minoranza ("Qui si soffre da matti", confessa Emiliano), rende molto teso il pomeriggio: il rischio e' che il patto a tre si rompa. In apertura di assemblea interviene per tutti, con i suoi toni moderati, Guglielmo Epifani: l'ex segretario invoca "rispetto" e ribadisce le richieste di sostegno al governo fino al 2018 e congresso in autunno. Gli oltre 600 delegati in platea rumoreggiano, sostengono con calore la linea di Renzi.

Ed e' in questo clima che Rossi e' il primo a fare un passo formale: "E' stato alzato un muro. Per noi la strada e' un'altra. Sono maturi i tempi per formare una nuova area", dichiara. Ma poi il fronte sembra sfaldarsi quando a sorpresa prende la parola Emiliano: i volti della minoranza in platea sono assai tesi, i toni del governatore pugliese dialoganti. "Mi fido di Renzi", dice invocando un ultimo tentativo di mediazione. Tornando a posto da' il cinque al segretario, poi abbraccia Rossi e Speranza.

Quest'ultimo fa sapere: ha parlato a nome di tutti. Ma c'e' bisogno di un chiarimento a fine assemblea per restare uniti. Il fronte si ricompatta davvero quando iniziano a piovere le reazioni dei renziani che confermano la linea. "Qui oggi abbiamo ascoltato il sosia di Emiliano", sorride Antonello Giacomelli. In serata il governatore pubblica su Facebook due foto in cui Renzi e Orfini sembrano guardarlo di traverso.

"E' partito lo sberleffo - racconta un deputato di minoranza - e allora anche per un elemento di dignita' non ci resta che la scissione. Se ci fosse un fatto politico nuovo, potremmo anche ripensarci, ma la vedo sempre piu' complicata: Renzi procede come un carrarmato, la scissione la sceglie lui". Se scissione sara', la minoranza spera di convincere in extremis anche Gianni Cuperlo, che pero' sembra piu' propenso a restare nel Pd.

Di sicuro non lo lasceranno Cesare Damiano e Andrea Orlando. Verso un nuovo soggetto della sinistra si incamminerebbero da subito Bersani e Massimo D'Alema, oltre a una decina di senatori e una ventina di deputati (ma potrebbero essere di piu') gia' pronti a fare gruppi parlamentari autonomi. Il percorso immaginato dai bersaniani e' una costituente di stampo ulivista in cui coinvolgere anche Giuliano Pisapia e gli ex di Sel, oltre che alla Sinistra italiana di Fratoianni e Vendola. Speranza vedra' domani Pisapia a Venezia, ma l'ex Sel Scotto gia' apre: "Adesso serve un nuovo inizio. Una sinistra popolare e di governo".

18 febbraio - LA VIGILIA DELL'ASSEMBLEA

La vigilia dell'assemblea convocata da Matteo Renzi per aprire il congresso, registra distante immutate tra maggioranza e minoranza e un'escalation nei toni. I tre candidati alla segreteria della minoranza, Roberto Speranza, Michele Emiliano ed Enrico Rossi, in una manifestazione unitaria con in platea Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, attaccano Renzi e tengono il punto sulle loro richieste: conferenza programmatica, congresso in autunno e garanzia di durata del governo Gentiloni fino al 2018. Ma il vicesegretario Lorenzo Guerini risponde a muso duro: "Gli ultimatum non sono ricevibili". E il presidente Matteo Orfini avverte: "Sarebbe la scissione a mettere a rischio il governo".

Chi sfida Renzi
Nel cuore del quartiere Testaccio di Roma, la sinistra Pd gremisce il teatro Vittoria, con alcune decine di persone fuori davanti a un maxischermo. Non c'è Gianni Cuperlo, che prova a mediare ed è il più restio a lasciare il partito. La kermesse, organizzata da Rossi (suo il nome "Rivoluzione socialista"), si apre sulle note di Bandiera rossa e sulle immagini di Guerre stellari, con Yoda a simboleggiare "la forza intorno a te".

In platea compare una bandiera comunista. Ma non è un'adunata di reduci, assicurano. A Renzi chiedono un congresso "vero" in autunno o domani, dopo aver presentato un ordine del giorno unitario in direzione, non potranno che dichiarare la scissione. In prima fila ci sono i due ex segretari Bersani e Guglielmo Epifani.

Una eventuale rottura? "Non è colpa mia", allarga le braccia D'Alema, che domani non sarà all'assemblea. Ora sta a Renzi fare un passo verso la minoranza, è la tesi: o sarà lui a rompere. "Bisogna essere fedeli agli ideali della gioventù. Quando non sai cosa fare, fai quel che devi", scandisce Bersani citando Berlinguer, a sottolineare la gravità del momento.

Il sostegno al Governo
"La scissione è evitabile", dichiara Emiliano. E rivela: in una telefonata venerdì il segretario gli ha garantito che sosterrà Gentiloni fino a fine legislatura. Ma Bersani dice che non basta: deve essere Renzi a dichiararlo.

Il congresso in autunno
L'altro punto su cui la minoranza non recede è un congresso in autunno: "Stamattina mi ha chiamato Renzi e gli ho chiesto: non vedi la scissione che c'è già nel nostro mondo? Se il congresso è solo rivincita o plebiscito", sarà normale "un nuovo inizio", dice Speranza. E Rossi avverte: "Se Renzi come Macron in Francia vuole fare un partito nè di destra nè di sinistra neo-reaganiano e alleato con Alfano, FI e Verdini, la scissione è nei fatti".

Emiliano, il mattatore
Emiliano, nella veste di mattatore, chiama l'applauso più forte della platea per Bersani, quando ricorda che si dimise per salvare il Pd. "Ho votato Renzi al congresso, scusatemi", esordisce il governatore. Descrive il segretario come un "prepotente e arrogante" e poi la butta lì: se prima del congresso ci fosse un'assise programmatica poi magari Renzi non sarebbe candidato alla segreteria.

Rossi invoca una "svolta" del Pd perchè diventi un "partito partigiano che sta con i lavoratori". Ed Emiliano scandisce: "Non costringete questa comunità a uscire dal Pd: non avremo paura. Ci ritroverà a guardarlo negli occhi: non costruiremo un soggetto avversario del Pd ma ricostruiremo questa comunità".

I renziani
Renzi replichera' domani, con l'intervento in assemblea. Ma i toni e i contenuti dei discorsi della minoranza fanno insorgere i suoi. Ernesto Carbone punzecchia i "121 del teatro Vittoria" (riferimento a D'Alema e alla Banca 121) e dice che neanche a Pontida o tra i Cinque stelle si sente "tanto odio" verso Renzi. "Alla mano tesa del segretario solo insulti e intolleranza", dice David Ermini. E Guerini invita a tener fuori il governo.

Dario Franceschini lancia un ultimo appello: "Il Pd non è proprietà di capi in lite, i margini di trattativa ci sono. Fermiamoci. O la scissione sarà colpa di tutti". Orfini propone come mediazione "una profonda discussione programmatica nelle federazioni" prima del congresso da tenere in primavera. Alla minoranza non basta. "Alcuni hanno già deciso di uscire, è stucchevole il gioco del cerino", attacca Orfini. Ma la sinistra replica: "Se si rompe la responsabilità è di Renzi".

E se si rompe?
Nuovi gruppi parlamentari e la nascita di un movimento in vista della costituente di un partito. È questa la via su cui si incamminerà la minoranza Pd se domenica 19 febbraio in assemblea si sancirà lo strappo da quello che già hanno ribattezzato "il Partito di Renzi". 

Il lavoro va nella direzione di ricucire il centrosinistra a partire dal lavoro necessario per tessere la tela con Campo progressista di Pisapia e Sinistra italiana di Vendola.

Ma intanto ci si sta preparando a tutto: al Senato la minoranza ha preso informazioni presso gli uffici per la formazione di un gruppo. Hanno anche verificato quanti funzionari gli spetterebbero. I numeri i bersaniani li avrebbero sia alla Camera che al Senato (si parla di 40 deputati e 20 senatori ma al dunque le decisioni di ciascuno potrebbero far oscillare l'asticella).

La speranza è poi attrarre magari quei parlamentari ex Sel che non aderiranno a Sinistra italiana (Arturo Scotto è ospite al teatro Vittoria).

Un'altra partita si aprirebbe poi per le questioni patrimoniali nel Pd, sull'eredità che i Ds hanno portato al partito al momento della nascita.

Il nuovo Ulivo
"Non costruiremo un soggetto avversario del Pd ma non aspetteremo altro che ricostruire questa comunità", dice Emiliano evocando future alleanze.

L'ambizione, spiegano i bersaniani, è costruire un soggetto "ulivista", di centro-sinistra. Di qui l'irritazione quando gli organizzatori della kermesse testaccina lanciano in apertura Bandiera rossa. Se si farà un soggetto largo, si potrà fare un soggetto da 10% e magari provare a "recuperare" Enrico Letta. Da subito partirebbe invece il dialogo con Giuliano Pisapia, che Speranza incontrerà lunedì a un evento a Venezia. L'ex sindaco ha chiarito negli ultimi giorni che non intende farsi 'strattonare' da nessuno, ma sarebbe un interlocutore naturale.

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ANSA/ANGELO CARCONI
Da sinistra: Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza durante la presentazione del manifesto "Idee e proposte per cambiare l'Italia, la sinistra, il Partito Democratico" al Teatro Vittoria, Roma, 18 febbraio 2017

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