Stati Uniti e Italia: primarie a confronto
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Stati Uniti e Italia: primarie a confronto

Per la prima volta, le modalità di scelta del candidato premier di uno schieramento politico italiano si avvicinano a quelle adottate da decenni negli Stati Uniti

Le prime, vere primarie all'americana nella Storia della Seconda Repubblica Italiana si sono svolte in Puglia nel 2005. Ricordate? Erano per il candidato alla carica di governatore. E, con grande sorpresa, Nichi Vendola riuscì a battere Francesco Boccia, l'uomo del Pd, forte dell'appoggio di Massimo D'Alema. Vendola poi vinse anche le elezioni. Quella competizione all'interno del centrosinistra fu vera. I due fecero una campagna elettorale capillare per la regione, non ci fu esclusione di colpi, a parte quelli veramente bassi. L'apparato del partito appoggiava Boccia, ma gli elettori scelsero Vendola. Per lui, furono il trampolino di lancio per diventare un leader politico (potenzialmente) nazionale.

Per avere primarie così, in Italia, dobbiamo poi andare a quelle di Milano, dello scontro tra Giuliano Pisapia, Stefano Boeri e Valerio Onida. Anche in quel caso, la competizione ha prodotto un risultato a sorpresa e la nascita di una nuova figura di leader.

Ecco, se dobbiamo segnare la prima grande differenza tra la limitata esperienza italiana e la decennale storia americana in tema di primarie (presidenziali e per il Congresso) si può dire che nella prima - a parte i casi della Puglia e di Milano - è quasi sempre stata vidimata con un voto plebiscitario dei militanti ed elettori la decisione del capo del partito (più forte) di essere il leader della coalizione, mentre, invece, nel caso statunitense, le primarie (quasi) servono a formare il leader o a determinare chi - secondo gli elettori - , tra i candidati in lizza, ha le caratteristiche migliori per battere l'avversario a capo dell'altro schieramento in quelle elezioni.

Nelle primarie del centrosinistra a livello nazionale, finora, c'è stata la volontà di rafforzare il leader con il voto di milioni di sostenitori; in quelle americane, c'è una scelta vera da parte degli elettori di chi sarà il loro leader.

Basta ricordare quello che è successo nell'appuntamento dell'ottobre del 2005 per la leadership dell'Unione - in "gara" Romano Prodi (74% dei consensi), Fausto Bertinotti (14%), Clemente Mastella, Antonio Di Pietro e Alfonso Pecoraro Scanio - e nell'autunno di due anni dopo, per le primarie del Partito Democratico, vinte da Walter Veltroni con il 75%. Insomma, nessuna vera competizione, ma primarie messe in piedi per raggiungere due obiettivi: acclamazione (di fatto) del Numero Uno e partecipazione, mobilitazione della base e dell'elettorato in vista delle elezioni.

Pensiamo invece a quello che è accaduto negli Usa nel 2008, quando Barack Obama ha vinto la nomination del suo partito. All'inizio, tutti davano per certa la vittoria di Hillary Clinton. ma il vento del cambiamento soffiava da un'altra parte. E Obama fu bravo ad accorgersene e ad alimentarlo. La sua figura di leader nazionale nacque in quel momento. Riuscì a interpretare meglio i desideri, i bisogni degli elettori. Ad offrire loro una visione e una simbologia. Niente di più politico di tutto ciò. Obama vinse sulla politica, infatti, anche se la Clinton era molto più competente e aveva l'appoggio dell'establishment del partito, dei grandi finanziatori, e, ovviamente, del potente marito Bill. Quelle primarie, per certi versi, fanno scuola. E sono un caso esemplare.

Ora, in Italia, con lo scontro (vero) tra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi  si sfiora il modello americano (di una vera competizione). Ma, nella sostanza, ne siamo ancora distanti. E non basta l'introduzione (per la prima volta) di un dibattito televisivo con un formato simile a quello adottato negli Usa per avvicinarci ancora di più. Gli scontri televisivi tra candidati negli Usa appaiono, nella loro indubbia finzione, più genuini.

E, poi, c'è il sistema elettorale che non può essere paragonato tra Italia e Stati Uniti. Le primarie negli Usa sono regolamentate per legge, durano circa sei mesi, si vota in giorni e con sistemi elettorali diversi, che variano da stato a stato; in alcuni casi si tratta di primarie aperte, in altre chiuse (solo cittadini registrati nelle liste elettorali o del partito). Niente a che vedere con quello che accade in Italia.

Per noi, da questo punto di vista, l'America è ben lontana (molto più vicina la Francia, dove il Partito Socialista le ha introdotte per seguire l'esempio del centrosinistra italiano). Distante si, ma almeno questa volta, grazie alla presenza di Bersani, Renzi e Vendola si potrà dire (a ragion veduta) Competition is Competition.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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