La chimera della riforma della Giustizia, da Rumor a Renzi
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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La chimera della riforma della Giustizia, da Rumor a Renzi

Annunciata in pompa da tutti i presidenti del consiglio della storia repubblicana, ma mai realizzata: sarà così anche questa volta?

 

“Se non riusciremo ad inserire i problemi della giustizia tra le riforme da realizzare nella fase due dell’azione di governo, avremo fallito il nostro compito”. A pronunciare queste parole non è Andrea Orlando, ministro della Giustizia del Governo Renzi del 2014, ma Mario Zagari ministro di Grazia e Giustizia del IV Governo Rumor, addì 16 novembre 1973.

Quando si parla di riforma della giustizia non si sa mai da che parte cominciare e, soprattutto, dove si vuole andare a parare e cosa si vuole riformare. Quel che è certo è che si finisce con il discutere della lunghezza del processo, della carriera dei magistrati e dello scontro tra politica e magistratura, fine. Per quanto riguarda tutto il resto e, soprattutto, di quello che ruota realmente attorno all’amministrazione della Giustizia, a nessuno interessa o, forse (ne siamo più che certi, a essere generosi) nessuno è a conoscenza.

Il 30 giugno 2014, il capo del Governo Matteo Renzi annuncia:“La scommessa del governo è che ora si possa discutere di giustizia in modo non ideologico. Per questo vogliamo aprire per due mesi, dal 1 luglio al 31 agosto, la discussione sulla giustizia surivoluzione@governo.it. Il sito del ministero offrirà le bozze di discussione su cui stiamo ragionando con un meccanismo partecipativo”. Bisogna precisare che di concreto non c’è assolutamente nulla all’orizzonte, o meglio, a detta del ministro Orlando qualcosa è allo studio dei pm, ergo diventa difficile poter avanzare delle critiche al nulla.

Anche il ministro Zagari del IV Governo Rumor nel lontano 1973 chiese aiuto a tutti per avere consigli su come riformare la Giustizia, all’epoca non c’era la mail: “Abbiamo aperto il ministero ai consigli e ai suggerimenti diretti del mondo accademico, dei magistrati, degli avvocati ed oggi dei giornalisti”.

Ma prendiamo, come esempio, l’unica vera riforma fatta e compiuta nell’Italia repubblicana e relativa alla Giustizia dai tempi del Codice Rocco (stiamo parlando del 1930, del ventennio e di Mussolini), e cioè l'attuale codice di procedura penale. Nel 1975 vennero istituite varie commissioni ad hoc, parlamentari, ministeriali e consultive (formate da operatori del diritto, magistrati e docenti universitari) che cominciarono a discutere dell’argomento e di cosa si dovesse cambiare. Il nuovo codice, pietra filosofale attorno alla quale far ruotare l’intera riforma dell’amministrazione della Giustizia, doveva diventare legge nel 1980, cinque anni più tardi (niente male per una riforma epocale). Ma, naturalmente, così non fu, e venne promulgata nel 1988 entrando in vigore il 24 ottobre 1989 (14 anni dopo dall’inizio della discussione). Come se non bastasse, visto che le ciambelle non riescono mai con il buco, all'indomani della promulgazione, si cominciò a parlare di una sua controriforma.

Il 14 luglio 1966, in Francia Charles De Gaulle celebrava l’anniversario della presa della Bastiglia, in Italia il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat rivolgeva un accorato appello al Consiglio Superiore della Magistratura affinché si mettesse mano alla “disfunzione della Giustizia”. Saragat elencava le cause dei problemi:“la irrazionale distribuzione dei magistrati per sedi e funzioni, la penuria dei cancellieri, la carenza pressoché assoluta di stenografi, la inadeguatezza di mezzi di lavoro sul piano minimo della modernità ed ancora l’angustia, la scarsa funzionalità o addirittura la mancanza di edifici giudiziari”. Naturalmente l’allora Capo dello Stato era consapevole che “soluzioni miracolistiche” non erano possibili, tuttavia suggeriva quelli che potevano essere i principali, semplici (aggiungiamo noi), rimedi: “1-distribuire meglio i magistrati; 2-accorpare preture; 3-aumentare l’organico (non di magistrati) nei tribunali delle maggiori città; 4-contenere il numero dei magistrati di Appello e Cassazione per evitare l’impoverimento dei tribunali”.

Dal momento che il ministro Orlando e il Capo del Governo Renzi hanno aperto un indirizzo per avere suggerimenti, invitiamo loro a cominciare a utilizzare, tranquillamente visto che non c’è alcun copyright, i suggerimenti avanzati dal Capo dello Stato, Saragat, nel 1966.

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Sabino Labia

Laureato in Lettere all'Università "Aldo Moro" di Bari, specializzazione in "Storia del '900 europeo". Ho scritto tre libri. Con "Tumulti in Aula. Il Presidente sospende la seduta" ho raccontato la storia politica italiana attraverso le risse di Camera e Senato; con "Onorevoli. Le origini della Casta" ho dato una genesi ai privilegi dei politici. Da ultimo è arrivato "La scelta del Presidente. Cronache e retroscena dell'elezione del Capo dello Stato da De Nicola a Napolitano" un'indagine sugli intrighi dietro ogni elezione presidenziale

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