Italicum: 3 motivi per cui la pace dentro il Pd è impossibile
ANSA/ FABIO FRUSTACI
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Italicum: 3 motivi per cui la pace dentro il Pd è impossibile

Divisioni insanabili, emendamenti e scontro sulla fiducia. Ecco perché la crisi nel partito diventa sempre più pericolosa per il premier Renzi

A poche ore dalla sostituzione in commissione affari costituzionali della Camera – dove oggi comincia la discussione sull'Italicum - dei 10 deputati ribelli che pretendono correzioni al testo (quasi la metà del gruppo tra cui Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi, Alfredo D'Attorre. Gianni Cuperlo), un accordo tra maggioranza e minoranza dem sulla legge elettorale assomiglia sempre di più a una chimera.

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L'appello di Letta

A poco servono gli appelli all'unità che arrivano da più parti. Ieri, ospite della trasmissione Che tempo che fa, l'ex premier Enrico Letta ha scongiurato divisioni nel Pd e definito il clima che si è venuto a creare sulle riforme “un errore da parte di tutti” che va evitato soprattutto “a cominciare da chi dirige il partito”. Un partito che Letta non intende lasciare anche se, tra un mesetto (quindi dopo l'Italicum, che l'ex capo del governo non dice se voterà o meno), si dimetterà da parlamentare, rinunciando quindi anche alla pensione, per dedicarsi solo all'insegnamento.

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Le divisioni interne

L'impresa non sembra però alla portata. Matteo Renzi è deciso ad andare avanti sulla sua strada, "il Pd è fatto per rispondere a grandi ideali – ha detto - non per litigare se i collegi elettorali devono essere 100 o 90". La minoranza resta divisa tra chi, come Gianni Cuperlo, parla dell'eventuale questione di fiducia posta dal governo come "un punto di non ritorno" e chi, come Cesare Damiano e la maggior parte degli esponenti di Area riformista, sanno e dicono pure che alla fine l'Italicum, con o senza fiducia, andrà comunque votato, "come richiede la logica democratica".

Ma ci sono anche bersaniani doc, come il pugliese Dario Ginefra, che invitano i colleghi della minoranza ad abbassare i toni, a cominciare dall'ex segretario, tra i più duri nel criticare la riforma. La maggioranza della minoranza sono loro, quelli che non ravvedono nel comportamento del premier alcun pericolo autoritario, che non giudicano l'Italicum come la peggiore legge elettorale possibile e che si rifiutano di andare al muro contro muro.

I 135 emendamenti e lo scontro sulla fiducia

Nel frattempo sono 135 gli emendamenti presentati all'Italicum in commissione affari costituzionali della Camera, 11 a firma Pd di cui 6 portano quella di Alfredo d'Attorre, 2 Rosy Bindi, 2 Barbara Pollastrini, 1 Roberta Agostini. Se non verrà messa la fiducia, saranno votati a scrutinio segreto. Un rischio per il governo che infatti teme trabocchetti. Il fronte avverso è ampio: va dai ribelli del Pd a Forza Italia, da Sel ai grillini e Scelta Civica che, pur essendo in maggioranza, ha presentato 5 emendamenti. Le modifiche su cui tutti potrebbero trovarsi d'accordo sono due in particolare: quella che mira a scardinare il bipartitismo con l'introduzione degli apparentamenti al ballottaggio vietati dal testo in esame, e quella sul ridimensionamento dei capilista bloccati: solo il 25% dei seggi andrebbe a loro (quelli con il miglior risultato), mentre tutti gli altri si giocherebbero il posto con le preferenze.

Gli scenari possibili

Se non saranno ritirati, gli scenari sono questi: o Renzi mette davvero la fiducia per spazzare via tutto e garantirsi il via libera all'Italicum senza intoppi a costo di perdere per strada un pezzo dei suoi che, se fossero coerenti con quanto minacciato fino ad oggi, dovrebbero a quel punto lasciare il Pd; oppure non lo fa rischiando, con l'ok anche a una sola delle modifiche proposte, che la legge torni al Senato. Ma se ciò avvenisse davvero, quasi certamente arriverebbero le sue dimissioni, lo scioglimento delle camere e il ritorno alle urne. Una prospettiva che spaventa la stragrande maggioranza non solo dei dem ma anche dei parlamentari degli altri schieramenti.

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Claudia Daconto