Grillo e la rivoluzione sgonfia del M5S
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Grillo e la rivoluzione sgonfia del M5S

Da Woodstook a sagra di paese: al Circo Massimo l'unica rivoluzione è Luigi Di Maio, il borghese di Beppe Grillo

È contro gli F 35 ma invoca l’esercito, è gandhiano ma chiede la destituzione del governo, «l’esercito fermi Renzi e stia con gli italiani» Insomma, non era più il Beppe Grillo del vaffanculo ma dell’ammutinamento, non il ribelle che sogna le barricate dei tupamaros sudamericani, ma l’uomo d’ordine che si affida alle divise e ai corpi scelti.

E però è stato l’unico momento di questa allegra festa, Italia 5 Stelle, in cui Beppe Grillo si ricordava di essere Beppe Grillo, l’unica minaccia che non ci ha spaventato ma che questa volta ci ha fatto davvero sorridere come in precedenza ci hanno fatto ridacchiare i serenissimi del tanko, i nuovi colonelli di Mario Monicelli e Ugo Tognazzi che smerciavano golpe, colpi di stato e sognavano la secessione del Veneto.

E infatti mentre Grillo parlava di «peste rossa», di «massoni al governo» il Circo Massimo non ringhiava ma alla spicciolata si apriva, spalancava in densità i vuoti e i pieni del prato, denunciava il numero che il M5S gonfiava fino a fare esplodere: «Siamo in 500 mila», uno sproposito al rialzo che le immagini smascheravano. Nella splendida domenica romana il popolo giovane di Grillo si disperdeva e si confondeva a passo di blues, ciondolava tra i 177 gazebo come si bighellona a fiere e sagre, una fiumana simpatica e cortese che i deputati intrattenevano, Gianroberto Casaleggio benediceva, Alessandro Di Battista si coccolava: «Siete mitici».

E non sembrava Woodstook ma più il prato di Pontida, nonostante Grillo si sia arrampicato su una gru e i rocker grillini scimmiottassero Jimi Hendrix che bruciava la chitarra, Vito Crimi si aggirasse con uno zaino in spalla così come facevano gli obiettori di coscienza, i disertori che fuggivano dall’America e quindi dal Vietnam.

Grillo insaccava sotto quel camicione a fiori lo scontento dei militanti, la vaghezza degli obiettivi, il disorientamento «dobbiamo uscire dal parlamento», «ognuno di voi deve essere me», «Di Maio è un mostro di bravura, mi farà fuori», strimpellava alla tastiera insieme a Edoardo Bennato, scorrazzava su una macchinetta da golfista con Casaleggio, si agitava senza agitarsi. Al Circo Massimo, anche il linguaggio del Movimento si depurava e limitava il turpiloquio che ci ha infettato, svaniva la provocazione esagerata «sono oltre Hitler» che non era avanspettacolo ma la vigilia della spersonalizzazione del comico, «io non so più chi sono io» ammetteva sincero lo stesso Grillo.

Grillo insaccava sotto quel camicione a fiori lo scontento dei militanti, la vaghezza degli obiettivi

Certo, c’è stata la solidarietà ai boss che Grillo ha espresso, ma non era vilipendio a Giorgio Napolitano, bensì una sguaita e imbarazzante battuta copiata da Sabina Guzzanti che in un tweet lo aveva già superato in impertinenza esprimendo vicinanza a Totò Riina e Leoluca Bagarella. Come i comici che hanno dimenticato la battuta e balbettano, Grillo ha rilanciato il referendum sull’uscita dall’euro, il suo migliore numero, l’insulto al giornalista «siete tossici» chè è come la parola d’ordine del capo ultras ai bastonatori.

Ma ieri bastava vedere Luigi Di Maio nel suo elegantissimo vestito di tweed, il delfino che non ha avuto l’investitura ma che parla da investito, «non so quando andremo al governo, non sono un profeta, ma vi dico che noi vogliamo vincere per governare», per non trovare più la selvaticità del deputato che voleva aprire il parlamento come una scatola di tonno, ma il viso rassicurante di un neolaureato di giurisprudenza, la pulizia del candidato a tutto, il volto furbo del politico di professione. Ebbene, al Circo Massimo, Grillo ha perduto il suo ghigno, l’unica esagerazione è quella da tartufo bianco che ha mangiato in quantità, l’unica provocazione è una marcia nobile per aiutare i genovesi coperti dal fango, l’unica rivoluzione è l’abito di Di Maio che sogna Palazzo Chigi e che non vuole stupire i borghesi, ma farsi borghese. Il borghese del Grillo.

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Carmelo Caruso