Fiorito, il podestà di Anagni
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Fiorito, il podestà di Anagni

Chi è l'uomo che, a colpi di spese forfettarie, presunti festini a luci rosse e Bmw pagate dai contribuenti, sta terremotando la politica romana

Partite dalle foto. Imponente, ciclopico e «core de mamma», come tutti i grandi mascalzoni buoni italiani, i pugili suonati che sotto il grasso celano le nefandezze.

Continuate dal nome: Franco Fiorito e pure quella “o” che il filosofo Ernest Junger avrebbe definito la prosecuzione della stazza dell’uomo, ne indica la corpulenza dell’assessore che ha fatto sprofondare il consiglio regionale del Lazio nella vergogna, anzi tra “le metastasi” invocate da Renata Polverini , in un’orazione che sa di fine impero, tra coppe e spumante, ostriche, l’ingordigia che precede l’indigestione.

Ottocento mila euro tra ostriche, festini e poi quattro case comprate con i soldi dei rimborsi del Pdl e una guerra a colpi di dossieraggio tra “Francone” e Francesco Battistoni, il capogruppo che ne ha preso il suo posto e che a sua volta viene chiamato in rea colpa da Francone chiamato “Batman” per una caduta dalla moto da fermo.

«Non sono mai caduto – ribatte – semmai chiamatemi il federale di Anagni». Più che un comune, un quartiere con Fiorito nel ruolo di podestà.

Quarantuno anni e 170 chili di peso, impilati in quel gessato nero, con un pizzo che ne occlude la mascella, quel pizzo che lo accomuna a Luigi Lusi, tesoriere a Belsito tesoriere della Lega, allo stesso Battistoni, il viterbese che ha scatenato la guerra contro Batman.

E un misto di tenerezza e orrore fa l’intervista rilasciata dalla madre Anna Tintori al Corriere che si coccola quest’omone menacciuto che a tre anni «leggeva Topolino», che da sindaco di Anagni, non percepì lo stipendio, orfano di un padre che aveva dimestichezza con le armi (lavorava alla Winchester) e che si è fatto da sé a furia di manifesti della Fiamma tricolore appesi nella Roma di notte.

Ha cominciato da attacchino per l’Msi, si è ritrovato al vertice del gruppo del Pdl laziale con ventiseimila voti, un oceano di consenso. Ma prima c’è Anagni. Famulo al servizio di Adolfo Urso, adesso Fli, il siciliano che lo fa portaborse e sguardi affettuosi con Ciarrapico. Si guadagna la simpatia di Storace che lo aiuta in quell’elezione che gli vale la fascia da sindaco. Stravince al punto da avere “più voti delle stesse schede” (scrive il Fatto).

Non un sindaco, ma un gerarca che nomina e disfa assessori. Il lato debole sono però le feste e quel cibo (oh maledetto) che gli restituisce adesso le tossine. Sempre da sindaco, nel paese lo ricordano per il suo viaggio in Russia e per delle foto: scatti che lo immortalavano nei privè della prospettiva Nevskiy abborracciato e stravaccato con delle russe, tanto da meritarsi dei manifesti sardonici dall’opposizione:  “Maialate a Pietroburgo”.

Non domo se ne va anche in Giappone (e non per il sushi) a vedere la nazionale di Trapattoni, a spese dell’ente (17 mila euro). Ma cosa importa? Nient’altro che beghe da strapese che vengono eliminate come scorie quando nel 2005 viene eletto alla Regione, una mangiatoia di spese forfettarie direttamente rimborsate ai gruppi, una pletora di monogruppi, una carovana di autoblù, una corte rinascimentale come dire, senza il fasto di un mediceo.

Eppure Fiorito sa che non bisogna mai lasciare il paese secondo il detto di De Mita («quando si è deboli bisogna ritornare dove si era forti») e al comune lancia un amico, no, di più, un balilla.

Una campagna elettorale che «manco Obama», dicono nel piccolo paese laziale e che gli vale la riconferma, la primazia in consiglio. Ma è guerra tra bande, duello territoriale come le famiglie della mala di Hobsbawm, fra viterbesi e ciociari di cui Fiorito ora è esponente succeduto al soberrimo Giulio Andreotti.

Battistoni di Viterbo pugna (con l’aiuto di Antonio Tajani) con Battistoni (che nel frattempo è stato apprezzato da Gianni Alemanno), gli sfila la poltrona, ma non gli basta.

Volano fatture (quelle di Fiorito) che sono un elenco pantagruelico, a partire dalle cena da “Ottavio” con quelle ostriche che lo condannano alla bava, allo sputo sul tovagliolo.

Festini, richieste di denaro che Fiorito soddisfa, dato che gestiva i rimborsi in quanto capogruppo, a consiglieri regionali e allo stesso Battistoni. Occhio per occhio, dunque.

Ma è il suv l’altra debolezza di Franco Fiorito. Un Bmw X5 di cui non poteva fare a meno e il tentativo di guidare una smart («L’ho lasciata al gruppo, non ci stavo dentro»). Auto pagate con i soldi del partito, ma nel garage vanta pure una Jaguar, una Mercedes 600 e una Mercedes 320.

Spunta pure una casa in Circeo da ottocento mila euro e conti esteri che Fiorito giustifica come una necessità per via di una casa ereditata oltre a un viaggio per rilassarsi dalle fatiche elettorali in due resort della Costa Smeralda.

Batman tuttavia non ci sta a passare per un tartufo. A fattura risponde fattura. Pure Battistoni, a sentire Fiorito, scialava con i soldi del partito e ci portava pure l’amante. «Falso», ribatte Battistoni, compagno di questo Satyricon romano. E l’attenzione si concentra anche su una festa organizzata sempre dal Pdl a cui Fiorito avrebbe detto no. Bighe, costumi in uno studio di Cinecittà per il costo di 57 mila euro: «C’erano delle gnocche travestite con gonnelline bianche. L’assessore Stefano Cetica era disgustato», testimonia adesso il federale di Anagni.

E la madre: «E’ un bravo ragazzo e ora ingrassa per il nervoso». Fiorito il trimalcione dei noantri.

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Carmelo Caruso